Gender Pay Gap: perché le donne guadagnano meno?

Gender Pay Gap: perché le donne guadagnano meno?

A Roma un seminario per dire “basta” alle discriminazioni di genere sul posto di lavoro

 

Lo scorso 11 novembre, in occasione delle giornate europee per il contrasto ai differenziali retributivi di genere, l’Ufficio della Consigliera Regionale di Parità del Lazio ha promosso il seminario “STOP GENDER PAY GAP” (GPG) e attraverso numerosi interventi si è provato a dare una risposta alla domanda “Perché esistono ancora differenze retributive tra uomini e donne?”.  In parole povere: perché le donne guadagnano di meno? Un problema non da poco, ancora troppo attuale nel nostro Paese e, in diversa misura, nel resto di Europa ma affrontato spesso con molta retorica e pochi fatti. Approccio totalmente opposto da quello che è stato il leitmotiv della conferenza svoltasi nella Sala Tevere degli uffici centrali della Regione, dinanzi ad un pubblico numeroso ma quasi esclusivamente – ahimè – al femminile.

A dare inizio ai lavori è Gianna Fracassi, Vice Presidente del CNEL, che ha proposto una riflessione profonda su «dati allarmanti che mostrano come il Gap non sia solamente retributivo ma comporti per le donne numerose interruzioni di carriera, poca presenza ai vertici, precarizzazione del lavoro che sempre più spesso si prospetta nella forma di una part-time involontario». Una proposta contrattuale che viene offerta – quasi imposta – alle lavoratrici perché considerate incapaci di poter conciliare gli impegni dentro e fuori casa. Tra le principali iniziative che il CNEL ha deciso di mettere in campo per fare fronte a questa situazione, particolarmente rilevante è la proposta di modificare un punto della legge 198, per rendere effettivo ed esigibile il rapporto sulle condizioni delle donne sul posto di lavoro, oggi obbligatorio solo per le aziende con oltre 100 dipendenti.

«Nonostante l’articolo 3 della nostra Costituzione sancisce l’uguaglianza davanti alla legge senza discriminazione sul sesso, la realtà non ci racconta quello che l’articolo 3  regola. Secondo un recente studio dell’Eurostat, le donne impiegate nelle aziende private italiane percepiscono circa il 20.7 % in meno rispetto ai colleghi uomini» afferma Eleonora Mattia, Presidente IX Commissione Lavoro del Consiglio Regionale nonché promotrice della proposta di legge n. 182 dell’11 settembre 2019 (“Disposizioni per la promozione della parità retributiva tra i sessi, il sostegno dell’occupazione e dell’imprenditoria di qualità, nonché per la valorizzazione delle competenze delle donne”).

La proposta di legge contiene 22 articoli tra cui disposizioni che impegnano la Regione con incentivi economici e sgravi fiscali per aziende che assumono donne per lavoro subordinato e a tempo indeterminato; la revoca dei benefici alle aziende condannate per dimissioni o licenziamenti dichiarati illegittimi; la stipulazione di protocolli con l’Associazione Bancaria Italiana per consentire tassi agevolati alle imprese femminili; il riconoscimento di buoni e voucher per il baby-sitting ed una più generale diffusione di buone pratiche per favorire la conciliazione tra tempi di vita e tempi di lavoro. Nella consapevolezza che la cultura sociale e i sistemi di potere non si possono cambiare con una legge, la consigliera Mattia ha concluso il suo intervento con l’auspicio che le donne facciano «due passi, uno dentro ed uno fuori casa. Quello dentro per rivedere l’equilibrio dei rapporti, quello fuori per scoprire i propri talenti e le proprie capacità».

È stata poi la volta di Valentina Cardinali, Consigliera regionale di parità. Nel suo intervento ha evidenziato come in Europa esiste un differenziale retributivo del 16% tra lo stipendio percepito da una donna e quello percepito da un uomo ed una diffusa forma di segregazione, detta “orizzontale”, che vede le donne impiegate prevalentemente nei servizi e in quelle attività considerate meno remunerative. In Italia inoltre è possibile assistere ad una doppia forma di segregazione che vede le donne escluse da posizioni apicali ed alte cariche anche nei settori più umili.  Le donne sono il 73% del totale dei lavoratori in part-time, l’83% dei beneficiari del congedo parentale e il 12% di loro lascia il lavoro dopo la maternità. «Cosa fare e chi deve agire? Quattro attori: la contrattazione, i datori di lavoro, le istituzioni e i lavoratori e le lavoratrici. Per definire un approccio globale serve essere un intero Paese che si interroga su come poter assicurare la sorveglianza e la realizzazione della parità retributiva».

Il dibattito è entrato poi nel merito della questione grazie agli interventi di alte personalità del settore dell’economia e della ricerca. La dott.ssa Magda Bianco, membro della Commissione Pari Opportunità della Banca d’Italia ha sottolineato che se le istituzioni, attraverso gli incentivi economici e le quote di genere, possono favorire la domanda di lavoro, tocca alle donne stesse modificare l’offerta e accrescere la propria cultura finanziaria, ad oggi nettamente più bassa rispetto agli uomini.

A seguire, il prof. Marco Peruzzi dell’Università di Verona ha esposto il progetto di ricerca finanziato dall’UE “Close the Deal, Fill the Gap” avviato nel 2014 e coordinato dalla collega Donata Gottardi, il cui fine ultimo è quello di disseminare buone pratiche e linee guida per la negoziazione di tematiche direttamente o indirettamente collegate al gender pay gap.

Tiziana Tafaro, professoressa dell’Università degli Studi del Sannio che svolge la sua attività professionale principalmente nel campo previdenziale e assicurativo, ha poi evidenziato come anche gli importi delle pensioni delle donne sono molto più bassi di quelle degli uomini (713 versus 1300 euro), così come il numero stesso dei pensionati. Tuttavia la Tafaro sostiene che l’ingresso delle donne nel mercato del lavoro sia necessario per sorreggere il sistema italiano di previdenza sociale.

Da numeri pragmatici, concreti e materiali si è passati ad analizzare gli aspetti immateriali della tematica con lo “Zero Gender Pay Gap Project” presentato dalla prof.ssa Anna Maria Giannini, coordinatrice e responsabile del laboratorio di Psicologia Sperimentale Applicata della “Sapienza” di Roma.  Il progetto prevede l’ideazione di un software che consente ai singoli dipendenti di verificare se la loro realtà aziendale registra discriminazioni di genere o meno; un portale che favorisce la comunicazione e lo scambio dei dati raccolti tra le parti interessate in funzione della migliore diffusione delle buone prassi.

Per concludere, la Dirigente dell’Area Pari opportunità della Regione Lazio, Arcangela Galluzzo ha richiamato l’attenzione del pubblico sul «problema nel problema» che è la situazione lavorativa delle donne vittime di violenza. Lavoro altamente precario o del tutto assente per persone per cui l’indipendenza economica è, o per lo meno sarebbe un grande passo verso la risoluzione del problema.

Diverse le tematiche affrontate, unica la catena da spezzare. Tante le strade proposte, unica la bussola di principi su cui orientarsi. Condivisione, trasparenza e consapevolezza sono stati il comune denominatore degli interventi del seminario e degli obiettivi di tutti i progetti presentati e delle iniziative messe in campo. «Nell’ottica positiva della costruzione, come ha affermato la Consigliera Cardinali nel salutare il parterre, tutti i problemi sono affrontabili e risolvibili».

 

Aurora Vena

 

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Aurora Vena