On fire!

On fire!

La Penisola arde da mesi: da giugno, senza tregua, il fuoco imperversa da nord a sud. Migliaia gli ettari di bosco bruciati. I bilanci e le considerazioni degli enti ufficiali


L’Italia è in fiamme e lo è più del solito: negli ultimi 12 anni, si è registrata una crescita spaventosa degli incendi, sia in numero che in estensione. Secondo i dati condivisi da EFFIS ­­­(European Forest Fire Information System), infatti, il 2009 si chiudeva con 109 roghi boschivi, il 2012 con 322, il 2020 con 498. Per adesso, il periodo più benevolo si è rivelato il triennio 2013-2015, con cifre che sono rimaste al di sotto della quota 100, mentre il picco peggiore si è raggiunto nel 2017 salendo a ben 781.

Incendi bilanci considerazioniQueste cifre ci raccontano di un trend in costante crescita e svelano un risultato ancora più terribile se si ragiona in termini di ettari di verde andati distrutti tra le fiamme. Basti pensare che il 2017 – volendo fare un paragone con l’annata più grave – ne ha visti scomparire più di 140mila, mentre il 2021 è già ben al di sopra dei 150mila. Tra il 2009 e il 2020, la media degli ettari di bosco andati letteralmente in fumo dal mese di giugno a quello di settembre, resta sotto il tetto dei 40mila, limite quasi quadruplicato per il 2021. Si è difronte, insomma, ad una vera strage ambientale.

Nessuna delle regioni italiane è riuscita a salvarsi dai danni arrecati dal fuoco. Dolorose le immagini della cenere e dei carboni che hanno sfigurato il paesaggio di Sicilia, Calabria e Sardegna, insieme all’intero meridione (preoccupanti i focolai divampati nel Lazio, in Campania, in Basilicata, in Molise e lungo tutta la costa adriatica). Troppe le riserve e le aree di pregio ambientale vittime dei cosiddetti “mega-fire” – incendi, di particolare gravità ed estensione, che minacciano il patrimonio naturale nella sua totalità – tra cui il Parco delle Madonie nel palermitano, il Bosco Difesa Grande nel barese e la Pineta Dannunziana nel pescarese (dove sono stati accertati tre differenti inneschi da parte di piromani).

L’ecosistema è stato irrimediabilmente compromesso: dovranno trascorrere decenni prima che la vegetazione torni allo stato precedente a giugno 2021 e sono stati milioni gli animali arsi vivi o uccisi dalle inalazioni di fumo ­– tra i 20 e i 24 milioni, si legge in una stima del Responsabile Fauna di Legambiente Antonino Morabito. I bilanci, quindi, parlano di una calda estate tutt’altro che spensierata, considerando le migliaia di persone sfollate dalle proprie abitazioni, i milioni di danni subiti dal comparto economico e le inestimabili perdite sul fronte della biodiversità.

Sulle cause dei roghi, convergono le opinioni degli enti preposti alla lotta contro gli incendi (Vigili del Fuoco e Protezione Civile) e delle associazioni nazionali e internazionali di salvaguardia dell’ambiente (come il WWF): l’azione antropica – che sia specificatamente incendiaria o solo la conseguenza di pratiche irresponsabili di uso del suolo – è alla base degli inneschi.

Il rapporto Ecomafie di Legambiente, sottolinea che esistono motivazioni molto più subdole rispetto a quelle proprie della piromania, tra cui: ritorsione, intimidazione e interessi illegali di organizzazioni criminali.

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Quello della manutenzione è un’altra nota dolente. Guido Parisi – capo del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco – definisce il clima e l’incuria, in cui versa la maggior parte delle aree boschive italiane, come i principali alimentatori delle fiamme e invoca un investimento importante ‹‹in prevenzione, ma anche in educazione civica, per insegnare ai ragazzi delle scuole il rispetto per i boschi››.

In un report di luglio 2021, dal titolo “Il mediterraneo in fiamme”, il WWF descrive 5 ‹‹Raccomandazioni›› per contrastare il fenomeno degli incendi boschivi: porre fine all’impunità, ridurre l’infiammabilità del paesaggio, migliorare le capacità di difesa civile, migliorare la governance della gestione degli eventi emergenziali, lottare contro il cambiamento climatico.

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Lo stesso documento insiste sul ruolo fondamentale delle Istituzioni, in primis sul fronte delle investigazioni e delle sanzioni (o pene), in secundis sullo sviluppo di politiche territoriali che integrino i principi di prevenzione: ‹‹Le amministrazioni – si legge – devono promuovere piani specifici di prevenzione attiva nelle aree ad alto rischio, cercando di rendere le foreste più resistenti agli impatti futuri e andando oltre le azioni di supporto allo spegnimento degli incendi. Questi piani si baseranno sulla diversificazione degli usi e degli sfruttamenti, sostenendo la gestione del bosco, puntando su sistemi di pastorizia estensiva e agro-forestali. La gestione attiva della vegetazione (compresa la sostituzione di specie forestali e l’uso di bruciature prescritte e pianificate) e il pascolo programmato sono opzioni di pianificazione preventiva a livello di paesaggio››.

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Teresa Giannini