La Legge di Bilancio ha abbassato le tasse per il 2023, ma a che prezzo?

La Legge di Bilancio ha abbassato le tasse per il 2023, ma a che prezzo?

Dichiarazione dei redditi 2023, cambiano scaglioni e aliquote

Il 1° gennaio 2022 è entrata in vigore la Legge Bilancio 2022 (l. n. 234 del 30 dicembre 2021), che ha apportato importanti modifiche in materia di Imposta sul reddito delle persone fisiche (c.d. Irpef) prevedendo quattro nuove aliquote per il 2022 accompagnate da nuove detrazioni distinte per categorie di reddito: dipendente, da pensione e autonomo.
La Circolare n°4/E del 18 febbraio 2022 dell’Agenzia delle Entrate, nel fornire chiarimenti circa la nuova Irpef, ha evidenziato che “L’intento della riforma è quello di garantire che sia rispettato il principio di progressività, attraverso la riduzione graduale delle aliquote medie effettive derivanti dall’applicazione dell’Imposta sul reddito delle persone fisiche”. Il risultato atteso è la riduzione della pressione fiscale al fine di “incentivare l’offerta di lavoro e la partecipazione al mercato del lavoro, con particolare riferimento ai giovani […] nonché l’attività imprenditoriale e l’emersione degli imponibili”.
Per effetto della ridefinizione di aliquote e scaglioni, il calcolo dell’Irpef relativo alla dichiarazione dei redditi riferiti all’anno 2022 non sarà eseguito sulla base di cinque scaglioni come avveniva negli anni precedenti, ma di quattro. In particolare, l’aliquota più alta del 43% è stata mantenuta (ma in riferimento ai redditi superiori a 50.000 euro), mentre è stata cancellata quella immediatamente inferiore del 41%. L’aliquota centrale è stata abbassata dal 38 al 35% così come quella inferiore ridotta dal 27 al 25%, infine, è stata mantenuta la quota del 23% relativa ai redditi non superiori a 15.000,00 euro.
Nella legge di bilancio 2022 sono state stabilite anche nuove detrazioni in senso estensivo e migliorativo per i lavoratori dipendenti, per redditi da pensione e per redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente e altri redditi inferiori ai 50.000 euro. Inoltre, continua ad essere riconosciuto il trattamento integrativo di 1.200 euro (c.d. Bonus Renzi) ai lavoratori dipendenti con redditi inferiori ai 15.000 euro e anche a coloro che risultano nella fascia tra i 15.000 e i 28.000 euro, a condizione che la somma di determinate detrazioni «sia di ammontare superiore all’imposta lorda» (art.1, c. 3, l. n. 234/2021).
La riforma tributaria succintamente delineata deve essere esaminata alla luce dei principi fondamentali stabiliti dalla Costituzione. L’istituzione dell’Imposta sul reddito delle persone fisiche istituita con D.P.R. n. 597/1973 e successivamente ricompresa nel Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR) approvato con il D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 deve essere considerata – almeno in linea teorica – alla stregua di una norma apicale attuativa della c.d. “Costituzione programmatica”, ossia di quei precetti costituzionali che le forze politiche hanno il compito di attuare con legge al fine di realizzare la Carta stessa.
In particolare viene in esame l’art. 53 Cost., che al primo comma pone il principio della capacità contributiva, in forza del quale il contribuente concorre alla spesa pubblica in base alla maggiore o minore capacità contributiva personale o alla mancanza di tale capacità. Il secondo comma del medesimo articolo stabilisce che il criterio a cui viene informato il sistema tributario è la progressività, nel senso che il tributo è proporzionale alla capacità contributiva, ma progressivamente crescente quanto maggiore è la capacità del contribuente. In questo modo, la Costituzione estende il principio della progressività a tutto il sistema di imposizione, al fine di distribuire equamente il carico tributario,  ancorché il principio di progressività non possa essere applicato a tutte le imposte senza eccezione (si pensi ad esempio alle imposte indirette). Pertanto, tale criterio si estrinseca nella previsione di aliquote di imposta sui redditi combinate a un sistema articolato di deduzioni, detrazioni e crediti d’imposta spettanti.

La scelta del legislatore di ridurre gli scaglioni, ridimensionare le aliquote e stabilire nuovi e più ampi livelli di detrazione in materia di Imposta sul reddito delle persone fisiche prosegue la strada tracciata dai governi passati e manca l’obiettivo della progressività voluta dalla Costituzione

Nel 1974, anno di introduzione dell’Irpef, erano presenti ben trentadue scaglioni di reddito con un’aliquota che andava dal 10 al 72% per lo scaglione eccedente i 258.228,45 euro; nel 1986 le aliquote erano già ridotte a nove, dal 10 al 62% per i redditi eccedenti i 309.874,14 euro. Dal 2007 al 2021 le aliquote sono state cinque, mentre oggi si assiste a un ritorno a quattro fasce di reddito con contestuale abbassamento dell’ultimo scaglione da 75.000 a 50.000 euro per l’applicazione dell’aliquota più alta del 43%.

Anche il Governo Draghi ha confinato il principio di progressività tributaria in aree sempre più strette dell’Irpef allo scopo di stimolare l’economia

Appare chiaro che i profondi mutamenti intervenuti nel corso degli anni nella struttura qualitativa e quantitativa della nostra economia hanno spinto invano il legislatore a utilizzare questo fondamentale istituto come stimolo fiscale per tentare di incidere sul miglioramento dell’occupazione, sulla lotta all’elusione e all’evasione fiscale e sulla stabilizzazione del ciclo economico, trascurando l’equità nella ripartizione delle imposte tra redditi di lavoro e di capitale. Si rileva, infatti, un incremento di trattamenti fiscali diversificati tra contribuenti con uguale reddito ma provenienti da fonti diverse. Per l’effetto, sono venute meno sia la possibilità concreta di “personalizzare” ragionevolmente l’Irpef sulla base di differenti capacità contributive, sia la stessa impronta di progressività che avrebbe dovuto caratterizzare l’ordinamento della totalità dei tributi.

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Redazione Proposte UILS