L’università è il futuro per il mondo del lavoro?

Molte aziende aprono posizioni lavorative senza la laurea

 

La maggior parte delle ragioni per cui, al termine delle scuole superiori, si avvia un percorso di studi universitario è la ricerca di un lavoro. Non importa quanto questo sia correlato al percorso di studi appena concluso ma, ormai, è la chiave per accedere al mondo del lavoro. Aziende, uffici, negozi richiedono la laurea, meglio se magistrale, e nei migliori casi anche esperienza lavorativa, binomio che, se si pensa bene, è alquanto improbabile visto che l’impegno richiesto e impiegato all’università non potrebbe conciliarsi con un’esperienza lavorativa. Eppure molte sono le aziende che richiedono come requisito fondamentale questi due percorsi tanto diversi quanto complementari.

Ma l’università può davvero essere il futuro per accedere nel mondo del lavoro? Se fino a qualche anno era così, adesso le cose stanno cambiando e forse potrebbe esserci una possibilità anche a quelle persone che hanno scelto di non proseguire gli studi. A dare speranza le molte aziende che stanno pubblicando offerte lavorative estese anche ai diplomati con maturata esperienza. Due anni fa un sito che pubblica offerte di lavoro ha raccolto le storie di 15 grandi aziende per cui la laurea non è più il titolo di studio richiesto ai fini dell’assunzione. L’elenco si apre con Google, Apple e IBM, la catena alberghiera Hilton, quelle di caffetterie Sturbucks e la Bank of America.

In Italia ancora su questa strada. Tuttavia nelle scorse settimane l’azienda musicale Spotify, che offre lo streaming on demand, ha pubblicato un’offerta lavorativa per la posizione di capo degli studios dell’Europa meridionale per le sedi di Milano e Madrid. Tra i dieci requisiti richiesti, non appare la laurea universitaria. Sicuramente nel nostro Paese è raro che offerte di lavoro prestigiose siano indirizzate anche ai diplomati ma, progressivamente, questa tendenza si ritiene spopolerà nelle aziende italiane. A luglio, ad esempio, la nota start up Quorum, che gestisce i sondaggi e le analisi politiche firmate YouTrend, ha aperto posizioni lavorative in cui il diploma di laurea non era menzionato.

Anche l’accesso a concorsi pubblici per posizioni ricoperte dalla Pubblica Amministrazione stanno introducendo, tra i requisiti, il solo diploma di scuola superiore. A tal proposito, fonti della Funzione Pubblica dicono che “ci sono, naturalmente, ruoli e posizioni che richiedono necessariamente la laurea per l’ingresso nella Pubblica amministrazione come, per esempio, il funzionariato o la dirigenza e per i quali sono addirittura ritenuti come preferenziali ulteriori titoli di formazione terziaria. Ci sono, invece, altri inquadramenti per cui viene invece richiesto il titolo di studio di scuola superiore, magari con una valutazione connessa al risultato dell’esame di diploma. In ogni caso, il percorso formativo di chi vince un concorso deve continuare ed essere sempre più potenziato all’interno dell’amministrazione”. Ciononostante si sottolinea l’importanza della formazione come strumento per poter allargare le prospettive professionali e per ottenere maggiore soddisfazione remunerativa. “La formazione continua, la cosiddetta lifelong learning, è la chiave per rendere la Pubblica amministrazione sempre più competitiva e attrattiva. Naturalmente, un titolo di studio più alto apre possibilità e prospettive di carriera migliori e maggiore soddisfazione retributiva”.

Ma davvero l’Università è l’unico canale attraverso il quale è possibile ottenere competenze che permettano di accedere a una posizione lavorativa soddisfacente in termini remunerativi e di carriera? Uno studio condotto dall’Unione Europea dimostra la mancanza di forza lavoro nel settore digitale a causa di assenza di esperienza nel settore. Nello specifico, “il 42% dei cittadini europei non possiede competenze digitali di base. Anche il 37% delle persone nella forza lavoro – agricoltori, impiegati di banca e operai di fabbrica – non dispone di competenze digitali sufficienti, nonostante il crescente bisogno di tali competenze in tutti i lavori.

L’Europa è anche priva di esperti ICT specialisti per colmare il crescente numero di offerte di lavoro in tutti i settori dell’economia. Una questione cruciale alla base di questo è la necessità di modernizzare i nostri sistemi di istruzione e formazione, che attualmente non preparano i giovani a sufficienza per l’economia e la società digitali, e di passare a un approccio di apprendimento permanente in modo che le persone possano adattare le loro competenze i loro tempi di vita secondo necessità”.

Google ha, infatti, introdotto un’università propria, ovvero “l’Università di Google”: sei mesi di formazione al termine dei quali vengono rilasciati tre certificati validi per l’assunzione nell’ambito digitale e idonei a ricoprire diverse figure professionali. Sei mesi contro tre anni che, anche in termini economici, vanno a beneficio dello studente. Una soluzione che non sminuisce la formazione universitaria, sicuramente utile e fondamentale per ricoprire alcune posizioni professionali, ma costituisce un modo alternativo per potere comunque accedere a posizioni lavorative prestigiose e soddisfacenti per il singolo, nell’ottica di maggiore occupazione e competenze professionali, oggi carenti in molti settori.

In un momento critico in cui, a causa della pandemia, è aumentata la disoccupazione, incoraggiare le aziende ad assumere dipendenti da formare al loro interno, facendo crescere l’acquisizione di competenze, può contribuire ad arginare il problema della disoccupazione giovanile.

 

 

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Paola Sireci