Soumbédioune

Soumbédioune

Il commercio in Senegal nel 2020 ha subito una perdita di 3,80 miliardi di dollari a causa della pandemia. In questo panorama Soumbédioune descrive le condizioni di un settore che stenta a ripartire.

 

L’immagine che ci hanno propinato dell’Africa è quella della gazzella che ogni giorno si sveglia e deve correre più veloce del leone che proverà a mangiarla. Dopo un anno e mezzo di lockdown abbiamo introiettato questa idea della lotta per la sopravvivenza e, chi meglio dei commercianti può capire questa metafora. Provate a vivere in un paese in cui mancano totalmente i sussidi, le agevolazioni, in cui le spese mediche sono quasi interamente a carico dei cittadini. Per i senegalesi questa è la quotidianità da sempre e, il tutto assume un sapore diverso se pensiamo che il Senegal è un paese votato al commercio. Gli ambulanti che vediamo per strada in Italia, vendere braccialetti e portachiavi, rappresentano la punta dell’iceberg di un comparto abnorme che, nel 2015 costituiva il 60,3% del PIL nazionale (Fonte: World Bank). E nel 2021? Qual è la vita e quali sono le ansie dei commercianti senegalesi? Ho la fortuna di vivere in questo paese e proverò a raccontarvi di un luogo di Dakar attraverso gli occhi, le mani e i piedi di chi ci lavora e chi cammina tutti i giorni per quelle strade. Soumbédioune è un mercato storico, le cui origini risalgono al 1961 (dunque appena dopo l’indipendenza del Senegal, raggiunta nel 1960) che, si trova nel quartiere di Medina, sulla corniche della penisola su cui si staglia Dakar.

E’ indubbio che Soumbédioune sia un posto per turisti. I commercianti che ci lavorano parlano quasi tutti italiano, perché hanno vissuto in Italia o per via degli avventori che circolano nella zona. O meglio, circolavano. Camminando tra le stradine del mercato, cercando di schivare i mille inviti ad entrare nelle boutique dei negozianti, incontro Omar, anche lui esercente da più di 15 anni a Soumbédioune. Mi racconta un po’ di lui. Parliamo italiano, poi passiamo al francese. Mentre parla, rimango a curiosare nel suo negozio, guardo gli orecchini in wax, le borse di bogolan fatte a mano da lui, i ventagli, i cesti in vimini…comprerei tutto, ma mi sono ripromessa di porre un tetto alle mie spese. Omar ha 46 anni, e dopo l’università, ha capito che il Senegal non gli avrebbe garantito un futuro stabile, ma ha deciso di rimanere, investendo in un comparto in cui il suo paese va davvero forte, il commercio. L’artigianato locale garantisce la sussistenza di migliaia di famiglie, ma rientrando nel settore informale non vi sono dati certi. La pandemia e il covid hanno causato ad Omar e ai suoi colleghi un danno economico notevole, a cui l’export non riesce a porre rimedio. Omar infatti esporta gran parte dei suoi manufatti in Francia e Italia.

orafo intento a lavorare

Rimango per un po’ a curiosare poi decido di andare, a quel punto Omar gentilmente si propone di farmi da guida per il mercato. E’ davvero dura cercare di andare nei posti di mio interesse, dato che il mio compagno di passeggiate mi invita ad entrare esclusivamente negli stands di parenti e amici. Faccio uno slancio e mi avvicino nel negozietto di un orefice, il signor Gora. Monsieur Gora ha 57 anni e lavora lì a Soumbédioune da quando ne ha 17. Penso a cosa si provi a vedere lo stesso panorama tutti i giorni per 40 anni, ma allo stesso tempo vedere facce diverse ogni volta, la vita delle persone che scorre, e il lockdown che ha interrotto questo flusso, rendendo tutto più monotono e noioso. I suoi 40 anni di esperienza sono ben evidenti. I gioielli di Gora sono bellissimi e non posso non comprare un gris gris. Esempio del melange che tutt’oggi esiste tra religione e magia, i gris gris sono degli amuleti portafortuna, un anello nel mio caso, che hanno il compito di proteggere il suo possessore. L’anello che mi mostra Gora infatti si apre, in modo da riporre al suo interno un foglio di carta con un augurio di felicità scritto esclusivamente da un marabout senegalese. Ho letto un po’ sul giro d’affari che i gris gris alimentano grazie alla superstizione degli acquirenti, ma sono spinta a comprarlo per la bellezza del gioiello e le sue incisioni precise.

Gora all’interno della sua boutique

 

Gora, come Omar è frustrato da tutta la situazione che la pandemia ha creato, discutiamo su cosa si possa fare e cosa loro in primis possono fare per sbarcare il lunario, in un paese in cui il welfare state è carente. Il doversi sé débrouiller (arrangiarsi ndr) in certi posti più che un talento, è una necessità, i senegalesi l’hanno imparato bene, infatti Omar mi spiega che dall’inizio della pandemia i commercianti hanno ricevuto solo una tranche di aiuti, per poi essere totalmente abbandonati. Mi viene da pensare che su certe tematiche i governi si somigliano tutti e che la latitudine non conta.

 

Io e Omar dividiamo un caffè, gentilmente offerto da un collega di Gora, parliamo ancora mezz’ora, poi saluto tutti e raggiungo il mio gruppo. Passeggiamo e curiosiamo in giro. Siamo letteralmente assalite dai negozianti. Vedere delle bianche in questo periodo è un’occasione che non va sprecata e, a Soumbedioune i commercianti mettono tutto il loro pathos per convincerti a comprare cose.

Il Senegal ha da poco riaperto le frontiere al turismo, spero che Omar, Gora e gli altri riusciranno un po’ di più a sopravvivere alla feròcia delle giornate.

 

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Tatiana Noviello