Salario minimo: basta contratti da fame!
Salario minimo, dibattito continuo
Cosa si intende per giustizia sociale negli ambienti lavorativi? Uguaglianza tra i sessi? Regolarizzazione dei lavoratori? Sicurezza nei luoghi di lavoro? Ovviamente domande con risposta affermativa tuttavia, un argomento che fa tanto discutere, specie in questi ultimi giorni ma di cui si parla troppo poco, è il salario minimo. Spesso ci si chiede se in Italia esista e se sia un obiettivo ancora troppo lontano per il nostro Paese nel quale il riconoscimento del valore professionale è assente o affidato a figure non competenti che mutilano il lavoro e il lavoratore, spogliandoli di valore. Una delle conseguenze di questo meccanismo è, appunto, la stipulazione di contratti che non tutelano gli interessi e diritti dei lavoratori e che, al contrario, ne abbassano il livello. Lavoratori in nero, nelle peggiori delle ipotesi, per arrivare a coloro i quali si accontentano di paghe servili pur di accrescere l’esperienza professionale. E questa dinamica costa di più ai lavoratori che ai datori di lavoro.
In Italia il salario minimo esiste da anni
In che modo è possibile abbattere questo tacito accordo subordinato? La risposta è la conoscenza, più nello specifico, uno studio dell’Associazione Artigiani e Piccole Imprese di Mestre (Cgia) che rivela quanto l’argomento di dibattito delle ultime settimane, ovvero la fissazione del minimo salariale, sia in realtà da approfondire e non da introdurre. Secondo una nota per il Presidente della XI commissione (lavoro pubblico e privato) della Camera dei Deputati, “il salario minimo esiste in tutti i Paesi dell’Unione Europea ed è compito, poi, del singolo Paese determinare il livello minimo alla legge o alla contrattazione collettiva coerentemente con le tradizioni delle relazioni dei sistemi industriali”. E in effetti in Italia il salario minimo esiste, rivela lo studio condotto dalla Cgia, con un importo che supera i 9 euro lordi, compresi anche di TFR, istituto che tra i grandi Paesi d’Europa è presente solo in Italia e che è esteso a tutti i settori, compreso quello dell’artigianato che conta le retribuzioni più basse.
Studio condotto dalla Cgia
Se, quindi, il salario minimo vige perché ancora oggi se ne dibatte apertamente e vivacemente a tal punto da generare malcontento presso i lavoratori e imprenditori? Lo abbiamo chiesto al coordinatore dell’ufficio studio della Cgia, Paolo Zabeo, che ci spiega lo studio condotto dall’associazione e approfondisce il tema del salario minimo in Italia.
Da cosa nasce questo studio condotto dalla Cgia?
È stato un argomento all’ordine del giorno nei giorni scorsi contestualmente alla campagna elettorale e, se dovesse passare questa legge, sarebbe un problema per le piccole aziende. La proposta dei 9 euro all’ora già esiste nei contratti stipulati con associazioni datorali e sigle sindacali riconosciute, il problema riguarda i contratti pirata firmati da sigle non rappresentative che applicano dumping sociale.
Ovvero?
La causa va ricercata nei cosiddetti “contratti pirata” firmati da sigle datoriali e sindacali “fantasma”, ovvero non riconosciute. I ccnl sottoscritti dalle associazioni e sindacati più rappresentativi, infatti, già oggi sono superiori ai 9 euro lordi all’ora. A nostro avviso, pertanto, per eliminare questa anomalia va approvata una legge sulla rappresentanza sindacale. Ovvero, solo le sigle “serie” e presenti su tutto il territorio nazionale (con sedi, iscritti, dipendenti,, etc.) sottoscrivono i ccnl . Chi rappresentativo non è, continua a fare sindacato, ma non può firmare contratti a livello nazionale.
In che modo pensa si possa arrivare a una legge sulla rappresentanza sindacale?
C’è una proposta di legge depositata ma il problema è che se ne discute in Parlamento da 40 anni. Dalle parti sociali manca l’incoraggiamento ad attuare tale operazione e questo è un problema che nessuno vuole affrontare
Cosa ci guadagnano le sigle non rappresentative nel sottoscrivere questi contratti?
Possono aggirare l’ostacolo dei salari alti, costituendo delle associazioni fantasma conosciute solo da chi firma tali contratti.
Quali sono i settori in cui si applica maggiormente questa tipologia di contratti?
L’artigianato ha la retribuzione relativamente bassa però abbiamo notato che con contratti sottoscritti da sigle sindacali importanti, aggiungendo quota parte di TFR, si raggiungono i 9 euro lordi l’ora. Tuttavia è inutile fare una legge se non si affronta la questione più importante, ovvero quello della rappresentanza.
Nella vostra nota si parla di un effetto trascinamento che potrebbe provocare l’introduzione della legge sul salario minimo. In che modo può rivelarsi un pericolo?
I contratti che hanno importi sui 9 euro, costringerebbero i lavoratori con importi superiori ad alzarli e questo diventerebbe un costo troppo alto per le aziende. Oltretutto ciò comporterebbe un’unificazione remunerativa nonostante i mansionari differenti, dunque finirebbe per essere un’arma a doppio taglio. Quindi la soluzione è andare a mettere mano sulle aziende furbe che mettono al ribasso la forza lavoro.
Il problema del salario minimo è fissare la legge sulla rappresentanza sindacale
Stando alle parole di Zabeo, dunque, l’ostacolo più grande in Italia è la mancanza della tutela dei lavoratori a carico delle rappresentanze sindacali, a dimostrazione del fatto che dei 985 contratti depositati e consultabili sul Consiglio Nazionale di economia e lavoro (CLEL), il 40% è sottoscritto da sigle sindacali fantasma, senza una sede e che non rappresentano nessuno. Tuttavia esse diventano il refugium peccatorum degli imprenditori furbi, sostenitori di una dinamica capitalista in cui i lavoratori diventano strumento di profitto a basso costo. E lo Stato, in tutto questo, dovrebbe dibattere meno e agire di più attraverso una normativa sulla rappresentatività sindacale che dia forza ai contratti nazionali in essere, annullando le continue deroghe di cui gli imprenditori si servono per approfittare