Etiopia: il primo anniversario della brutale guerra del Tigrè

La guerra che da un anno ha messo in ginocchio l’Etiopia è giunta al suo primo anno. Il bilancio che se ne trae è drammatico. Le parti coinvolte sembrano lontane da un cessate il fuoco. Con i ribelli sempre più vicini alla capitale, il Primo Ministro Abiy ha reagito dichiarando lo stato di emergenza. Da tutto il mondo arrivano critiche severe, ma i tentativi di mediazione, ad oggi, sono ancora vani.

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A un anno dall’inizio del conflitto del Tigrè, il primo ministro etiope, Abiy Ahmed, ha dichiarato lo stato di emergenza, invitando gli ex soldati e ufficiali, ora in pensione, ad unirsi all’esercito nella battaglia. Inoltre, il governo federale ha invitato qualsiasi cittadino in età militare che abbia un’arma ad arruolarsi. La richiesta è arrivata in un momento chiave del conflitto, proprio mentre le forze del Fronte di liberazione del popolo del Tigrè (TPLF) avanzano verso la capitale, Addis Abeba.

Le origini delle tensioni

Salito al potere nel 2018, dopo 27 anni di un governo di coalizione dominato dal Tplf, Abiy ha promosso fin da subito una politica visionaria dalle riforme radicali. Ma se da un lato questo gli permise di porre fine alla guerra fra Etiopia ed Eritrea, facendogli vincere il Nobel per la pace, dall’altro insaprì gli animi dei tigrini, convinti che voglia centralizzare il potere. Il Tplf, quindi, si rifiutò di aderire al nuovo partito e, nel settembre 2020, ignorò il divieto imposto dal governo di tenere le elezioni nella regione. Le tensioni, poi, sfociarono a novembre, quando l’esercito etiope rispose all’attacco di un deposito d’armi per mano del Tplf. Nei piani di Abiy, l’operazione per ristabilire l’ordine doveva durare un mese, ma le divergenze politiche e le storiche ostilità etniche hanno infiammato un conflitto armato che vede coinvolti diversi protagonisti: da un lato le forze del Tigrè e l’esercito di liberazione oromo (OLA), dall’altro l’esercito federale etiope, le forze dell’Amhara e, anche se solo in un primo momento, le forze eritree.

Abiy Ahmed
Abiy Ahmed

A fronte della potente avanzata di Tplf e OLA, anche il governo regionale di Amhara – come quello federale – è passato alla difensiva. Ai cittadini, infatti, è stato chiest0 di mettere a disposizione i propri veicoli e ordinando la chiusura degli uffici amministrativi.

Un anno di guerra 

Ad oggi, gli animi sono particolarmente infuocati. Violenze, abusi, stupri e schiavitù fanno parte delle “armi” con cui si sta combattendo questa spietata guerra.

Lo scorso ottobre, la televisione tigrina e il portavoce del Tplf, Getachew Reda, confermarono due bombardamenti a Merkelle – capoluogo del Tigrè – per mano delle forze di governo. L’accusa, però, è stata prontamente smentita dai diretti interessati. Il capo dell’ufficio della comunicazione, Legesse Tulu, ha infatti affermato che il governo etiope non avrebbe ragioni per bombardare una sua città, perché «Merkelle è una città etiope». Diverse, comunque, sarebbero state le vittime degli attacchi: tre i morti e decine i feriti.

Inoltre, a novembre, l’arresto di due professori di diritto dell’Università di Addis Abeba – originari del Tigrè – ha dato adito ad alcune accuse mosse dai ribelli, secondo cui le autorità governative sarebbero coinvolte in una spietata repressione dei tigrini. A difendere il governo etiope, però, è intervenuto ancora una volta Tulu, che dichiara che gli arresti non dipendono dall’entità etnica degli individui. Al contrario, sono dovuti al sostegno sospetto dei detti ai gruppi terroristici di Tplf e OLA. A prova di questo, Tulu ha aggiunto che nella capitale vivono più di 500.000 tigrini e i detenuti non superano le mille unità.

Il primo ministro, in un tweet, ha definito le imputazioni come una “sinistra guerra di disinformazione contro la nazione” e ha rivolto un invito ai cittadini ad invertire la rotta di questa “narrativa distorta”.

tweet Abiy Ahmed
“Miei compagni etiopi, non dimentichiamo che siamo anche impegnati in una sofisticata guerra narrativa condotta contro la nazione con molti che usano la disinformazione come percorso per le loro mosse sinistre. Ogni etiope deve svolgere un ruolo nel respingere e invertire la narrativa distorta.”

Ma i botta e risposta non finiscono qui. I tigrini sostengono che Abiy Ahmed, avendo condotto una campagna militare violenta in Tigrè e impedendo l’arrivo di aiuti umanitari, abbia perso il diritto di governare. Di tutt’altro avviso, invece, è l’opinione pubblica, che alle recenti elezioni nazionali ha confermato la vittoria schiacciante di Abiy, il cui governo definisce il Tplf una minaccia per la stabilità dell’intero Paese. In più, il ministro degli Esteri Demeke Mekonnen ha smentito l’incriminazione dei ribelli circa gli aiuti. A detta sua, il governo avrebbe permesso l’ingresso di camion nel Tigrè e di voli umanitari nella regione di Amhara.

La critica internazionale

Alla luce di questi recenti avvenimenti, la critica internazionale è accesissima. La Commissione dell’Onu per i diritti umani ha espresso grande preoccupazione per i numerosi tigrini detenuti ad Addis Abeba di cui non si hanno informazioni. La stessa Michelle Bachelet, l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, ha accusato le forze armate etiopi di aver abusato della condizione di stato di emergenza.

Finora, a poco sono valsi i tentativi di mediazione internazionale intrapresi dagli inviati degli Stati Uniti, Jeffrey Feltman, e dell’Unione Africana, Olusegun Obasanjo.

Il bilancio della guerra

Il bilancio ad un anno dall’inizio della guerra è tragico. Già lo scorso giugno, le Nazioni Unite avevano dichiarato che circa 5,5 milioni di persone nelle regioni confinanti con il Tigrè necessitavano aiuti alimentari e che oltre 350mila erano esposte alla carestia. Oggi i numeri sono sempre più alti, con il 91% della popolazione bisognosa di aiuti umanitari, 100mila bambini a rischio di malnutrizione acuta e, talvolta, letale, e quasi due milioni di persone sfollate. A questi dati vanno aggiunti quelli di migliaia di morti.

Tigrè

A peggiorare la situazione, inoltre, è la carenza di informazione, visto che ai media è negato l’accesso e che l’Onu e altre organizzazioni internazionali sono escluse o addirittura cacciate. Lo scorso novembre, 16 dipendenti delle Nazioni Unite sono stati incarcerati e solo 6 di loro, poi, rilasciati.

Inghilterra e Stati Uniti hanno invitato i loro cittadini ad abbandonare il Paese, affermando che la situazione di insicurezza potrebbe peggiorare ulteriormente all’improvviso.

Non è chiaro se le forze del Tplf saranno in grado di impadronirsi di Addis Abeba e di forzare un cambio di governo. Al momento, però, ciò che è certo è che le prospettive di un cessate il fuoco sono scarse e colui che ha vinto il Nobel per la pace, oggi, è considerato un criminale di guerra.

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Chiara Conca