Maestri di sci, ancora una volta fuori pista

Maestri di sci, ancora una volta fuori pista

Fallito il terzo tentativo di riapertura delle piste da sci

Il Presidente di AMSI e il Direttore della Scuola sci di Terminillo: “Noi maestri di sci chiediamo di essere considerati lavoratori e non come coloro che si divertono”

 

7,18 gennaio, 15 febbraio e, ora, 5 marzo. Un tira e molla senza fine quello degli impianti sciistici che pare non siano destinati a riaprire questa stagione. Alla vigilia della riapertura, fissata per lo scorso 5 marzo, il Ministro della salute Roberto Speranza firma un provvedimento che costringe gli impianti sciistici a un ennesimo sacrificio, rimanere chiusi per evitare un peggioramento della situazione sanitaria.

Rabbia, delusione e sconforto per tutti gli amanti dello sport invernale che avevano già programmato il calendario sciistico fino alla fine di marzo, in una stagione particolarmente fortunata visto il manto di neve che ha fatto da cornice alle migliori località del Paese. Ma, in questa situazione di malcontento generale, chi sta pagando le conseguenze sono i lavoratori stagionali, in forte crisi non solo economica.

 

Abbiamo calcolato, dalla chiusura degli impianti lo scorso 9 marzo 2020 fino al 10 febbraio 2021, una perdita di 110.000.000 di euro”, afferma Maurizio Bonelli, Presidente dell’Associazione Maestri di Sci Italiana, che continua “Generalmente l’incasso complessivo di una stagione sciistica è di euro 180.000.000, considerando che il 50% viene fatturato tra dicembre e gennaio”. Importo non definitivo e sicuramente in crescita vista l’ultima scelta del Governo che prevede altre tre settimane di quasi totale inattività delle località turistiche invernali. Nonostante il turismo costituisca il 17% del PIL nazionale, in questo anno di pandemia, arrestando quasi totalmente le attività, ha sacrificato i lavoratori stagionali invernali e, in particolare, i maestri di sci, sotto i riflettori mediatici dell’ultimo mese. Simone Munalli, direttore della Scuola Sci Terminillo (RI) dal 2016, difende la sua categoria, ammettendo errori commessi dai suoi colleghi e, allo stesso tempo, riconoscendo il valore del lavoro del maestro di sci: “Il fatto scatenante che ha messo la croce sul nostro settore è stata la foto scattata a ottobre a Cervinia (assembramento mal gestito dalla società di quell’impianto). Già prima di quell’evento, siamo stati equiparati alle discoteche in cui si va nel weekend a divertirsi. In realtà c’è molto altro: ogni anno, ad esempio, operiamo con progetti scolastici molto proficui”. Sostiene, inoltre, che il settore sciistico stia, in qualche modo, pagando le conseguenze della situazione verificatasi durante la stagione estiva e ritiene che debbano essere applicati gli stessi parametri a più settori “Si dovrebbero applicare le precauzioni necessarie a evitare che si verifichi lo stesso problema di questa estate, così da monitorare la situazione. Noi paghiamo le conseguenze di quello che è successo in estate, ma non solo noi. Non vogliamo sussidi, vogliamo lavorare e vorremmo che fossero applicati gli stessi parametri a più settori: come si fa la fila al supermercato, perché non si può fare all’aperto?”

 

La questione sull’applicabilità delle norme anticovid all’interno degli impianti sciistici è un argomento su cui si sono dibattuti a lungo consigli regionali per decidere se riaprire o meno gli stessi e fazioni politiche si sono schierate a favore del riavvio. In un ambiente in cui, già di per sé, si utilizzano guanti, protezione per il viso, occhiali, casco e l’attività si svolge completamente all’aperto e individualmente, il rischio di contatto interpersonale è limitato, fatta eccezione per gli impianti di risalita e all’interno di rifugi e ristoranti. Maurizio Bonelli, voce unificata dei maestri di sci, sostiene a riguardo “Se sono aperti i ristoranti in città perché i rifugi, rispettando le stesse norme, non possono svolgere la loro regolare attività? Gli impiantisti hanno creato un proprio protocollo per accedere agli impianti in totale sicurezza. Noi eravamo pronti per potere esercitare la nostra attività garantendo le condizioni di sicurezza, abbiamo e avremmo fatto il nostro ma non ci è stata data la possibilità”. Alla luce di queste considerazioni il dubbio che affligge gli amanti dello sport e i lavoratori stessi riguarda il motivo della sospensione dello sci. Una prima analisi lo riconduce al rischio di assembramento, come per cinema, teatri e movida notturna, attualmente sospesi, considerando lo sport e la cultura contesti cui la gente può fare a meno, in quanto tempo libero, sottovalutandone il lavoro. Nello sci, in particolare, il nodo più rilevante riguarda la stagionalità e, quindi, il fatto che i lavoratori operino solo alcuni mesi dell’anno. Maurizio Bonelli, a tal proposito, afferma più volte “A volte sono passati dei messaggi fuorvianti come lo sci è divertimento, è per ricchi, è per fortunati. Non è così, né chi lo pratica, né chi lo insegna perché prima di essere sci è un lavoro e, come tale, merita sostentamento. Sostentamento assente da parte del governo che, in quest’anno di inattività, non ha dedicato attenzione alla categoria dei maestri di sci. “Per praticare questo lavoro” afferma Simone Munalli, “o sei un libero professionista con p.iva o appartieni a un’associazione professionistica. La maggior parte dei maestri appartiene alla prima categoria. Chi ha la p.iva ha ricevuto i 600 euro destinati ai liberi professionisti, mentre chi lavora con associazioni professioniste, a oggi, ha ricevuto 0 euro”. Ammortizzatore che si aggiunge al contributo a fondo perduto, inserito nel DL34, subordinato al 33% dell’operato del mese di aprile 2020 su aprile 2019. Dato che le stagioni invernali partono a inizio dicembre con termine a fine marzo, quasi nessun lavoratore è entrato in quel tipo di agevolazione, in quanto mancanti i parametri per ricevere tale contributo.

 

Si considera che i maestri di sci, dato che non sono subordinati a un datore di lavoro, non siano sostenuti in egual misura ad altre categorie di lavoratori e tutt’ora continuano a sacrificare la loro attività a scapito di altre, maggiormente esposte a contatti interpersonali. 15.248 maestri di sci, 400 scuole riconosciute dall’ente pubblico regionale hanno assistito alla riapertura di teatri, cinema, ristoranti, palestre, negozi e grandi vie del business e, allo stesso tempo, a rinvii continui delle loro attività. Si stima che, nel giro di una stagione invernale, svoltasi regolarmente con maestri che lavorano tutti i giorni, la perdita per ogni singolo lavoratore è di euro 15.000, a fronte dell’incasso quasi nullo delle stagioni 2020-2021. Una condizione di crisi economica ma anche ideologica, all’interno di un Paese che considera il tempo libero sacrificabile. Nonostante una prossima riapertura, l’appello dei maestri di sci è di essere considerati dei lavoratori e non come coloro che si divertono. Chiedono di consolidare la figura del maestro non come un fortunato, ma come un lavoratore che sostiene la propria famiglia al pari di qualsiasi altro lavoratore.

 

 

 

 

 

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Paola Sireci