Braccianti e Agro Pontino, eco fascista e sfruttamento moderno

Braccianti e Agro Pontino, eco fascista e sfruttamento moderno

La frutta e la verdura che troviamo nei mercati o nella grande distribuzione sono la conseguenza del duro lavoro di veri e propri meccanismi schiavisti. L’Agro Pontino è un territorio dove è presente lo spietato meccanismo del caporalato. Molti ne sono a conoscenza ma sembra non basti.

A circa 50 Km da Roma si estende la famosa area dell’Agro Pontino dove tutti i giorni moltissimi braccianti agricoli sono impegnati, in condizioni disumane, nella raccolta di frutta e verdura per i mercati sia nazionali che internazionali. Le condizioni di lavoro sono talmente dure da ritenersi un vero e proprio sfruttamento e ricalcano uno stereotipo tipico del rapporto tra il caporale e la manovalanza, seguendo un meccanismo con una forte eco fascista.

Un po’ di storia sui braccianti di questa zona

bracciante durante il lavoro nei campi
Esempio di bracciante a lavoro

È impressionante constatare quanti elementi comuni si possono riscontrare tra la colonizzazione degli anni ‘30 del 1900 in questa zona e le condizioni dei braccianti adesso.

Se consideriamo, per esempio, le abitazioni dei braccianti è evidente la volontà di isolare il più possibile questi braccianti dai cittadini di Latina, Sabaudia, Terracina, Fondi, tutti i Comuni appartenenti all’Agro Pontino e lo stesso meccanismo era stato messo in atto nella colonizzazione fascista.

La dittatura fascista, infatti, aveva stabilito un controllo demografico di spostamento dei contadini nel territorio nazionale e aveva deciso di utilizzare in questa area geografica la forza lavoro agricolo del Veneto ritenuta idonea sia per indole (considerati gran lavoratori, e sia per la sopraggiunta necessità di alleggerire la Pianura Padana (che era satura di manovalanza).

Questi contadini erano mezzadri, sulla carta, ma si trovarono a lavorare come braccianti e a vivere in case isolate, in un territorio malsano (ci furono molti casi di malaria) e in cui sarebbe stato difficile creare un senso di comunità. In un contesto sociale di questo tipo si realizza il progetto economico di stampo fascista dell’Agro Pontino.

Questo ha determinato un progressivo disinteressamento alla situazione di questo territorio fino ai giorni nostri nei quali la migrazione nazionale ha lasciato il posto all’immigrazione straniera ancora più sfruttata.

Ad interessarsi a questo fenomeno ci sono state varie associazioni che cercano, da svariati anni, di far emergere casi di sfruttamento, condannare chi sfrutta e, quindi, tutelare lo sfruttato. Tra queste associazioni abbiamo Libera e Terra! che hanno realizzato, a più riprese, dettagliate analisi delle condizioni di lavoro in questa regione.

Dove vivono questi braccianti, geografia del luogo

albero kiwi da vicino
Coltivazione di kiwi

A livello geografico, si tratta di una area territorialmente molto estesa che si divide in tre macro-aree: un’area di circa 9000 ettari che è adibita alla produzione di kiwi (primo produttore di questo frutto a livello europeo), una seconda area compresa tra Terracina e Sabaudia (adibita soprattutto alla produzione di zucchine, pomodori, melanzane, ravanelli e sedano) e una terza area nella zona di Fondi che alimenta principalmente il territorio del comune stesso e di Comuni limitrofi.

Questa prima schedatura territoriale è stata opera del collettivo Terra! che si occupa, da anni, di assistere e supportare i più emarginati della nostra filiera agricola.

Tutto questo sfruttamento è sottoposto ad un controllo capillare sul luogo di lavoro da parte di figure che richiamano il caporalato.

È strano immaginare che tra i prodotti di punta in questo territorio ci sia il kiwi (frutto di origine neozelandese) che vede proprio nell’Agro Pontino la sua massima produzione sotto il controllo societario della multinazionale Zespri.

La suddetta produzione è regolamentata dalla richiesta di una particolare certificazione, la GlobalGAP GRASP, che richiede il rispetto di uno standard di produzione che considera quali sostanze chimiche possono o meno essere usate e, anche, che non ci sia alcuno sfruttamento umano.

Nonostante la certificazione sia presente e si debba, perciò, aderire a certi parametri, sono state riscontrate dalle associazioni sopra citate svariate anomalie e mancanze. Alcune di queste estremamente gravi.

Qualcuno a supporto dei braccianti

A trattare le tematiche dei braccianti dell’Agro Pontino si è apertamente schierato il prof. Marco Omizzolo, sociologo, docente e responsabile scientifico per In Migrazione che s’interessa da anni della situazione dei braccianti. Grazie alla sua ricostruzione presente nel dossier Sfruttati a tempo indeterminato (pubblicato nel 2015) lo stesso Omizzolo descrive contrattazioni in atto che non vengono rispettate, nascondendo gravissime violazioni e sfruttamenti umani.

Un altro dossier sulla condizione dei lavoratori agricoli nell’Agro Pontino (Il sapore amaro del kiwi, IrpiMedia, 2023) riporta una serie di dati Inps che individuano circa 9500 braccianti con un contratto a tempo determinato a fronte di oltre 30000 braccianti presenti in zona e attivamente impiegati; questo ci mostra senza alcun dubbio una notevole discrepanza pendente verso l’illegalità, senza contratto e, quindi, protezioni assistenziali.

Si è palesato un vero e proprio paese fantasma che racchiude la maggior parte dei lavoratori Punjab di religione sikh impiegati nella provincia di Latina. Si tratta di un conglomerato abitativo situato in località Bella Farnia, esempio di abusivismo che sembra non interessare il nostro governo ed è un villaggio completamente auto-gestito che ospita lavoratori arrivati in zona per lavorare nei campi.

Il sistema legale che ingabbia i braccianti

esempio di coltivazione di pomodori per opera dei braccianti
File di piantine coltivate

Questo è facilitato dal desiderio di arginare la normativa vigente in materia di regolarizzazioni di flussi migratori (il cosiddetto “decreto flussi”) che prevede una serie intricata di regolamenti e fasi che difficilmente incontrano le reali necessità del lavoro agricolo. Nello specifico questo decreto regolamenta la quota di braccianti necessaria per sopperire stagionalmente in base al numero di lavoratori regolari di lungo periodo tra datore di lavoro italiano e pese straniero di origine.

Ha, quindi, lo scopo di non far entrare un numero eccessivo o troppo esiguo di lavoratori stranieri stagionali nel territorio, peccato che questo decreto sia fallace in molti punti e che si ricorra sempre più spesso a irregolari.

Proprio la cavillosità e i mancati controlli fanno sì che sia estremamente facile per i caporali far entrare nuovi braccianti attraverso un meccanismo di finta parentela o conoscenza a partire dal loro Paese straniero di origine.

Questi lavoratori agricoli finiscono per essere incastrati in veri e propri meccanismi schiavisti poiché il caporale in molti casi arriva a pagare il viaggio verso l’Italia, diventa l’unico tramite con il padrone italiano e aiuta lo spostamento dall’alloggio ai campi. Quindi il bracciante si vede costretto a ripagare costantemente un debito che si accumula anche a causa delle misere paghe che riceverà.

In supporto di questi invisibili si è schierata l’organizzazione Libera che ha creato una rete di circa 1600 associazioni più piccole, movimenti e cooperative con lo scopo di riqualificare terreni e costruzioni confiscate alla mafia (nello specifico agromafia) e permettere che possano essere usate con scopo abitativo anche da questi braccianti oltre che aiutarli nelle pratiche burocratiche o insegnare loro l’italiano.

Occorre continuare a porre la giusta attenzione su queste tematiche perché l’attuale governo non sembra essere minimamente interessato a trattare questi lavoratori come persone. Sembra confermare che è molto più comodo non parlarne e non occuparsi di loro. Meglio ritenerli invisibili.

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Ludovica Cassano