End Fossil! Occupy!

End Fossil! Occupy!

Dal settembre 2022 un movimento composto da studenti, lavoratori, docenti, e attivisti climatici di tutto il mondo ha animato occupazioni in scuole e università in Europa e in Africa per promuovere la lotta all’economia del fossile. Numerosi sono gli atenei italiani che hanno risposto all’ultima campagna lanciata dal movimento. Dario Cevoli, giovane chimico, ricercatore e attivista di Scientist Rebellion Roma, ha condiviso con noi alcune considerazioni sull’occupazione dell’Università La Sapienza di Roma.

“Interrompiamo la quotidianità per prendere spazi, auto-organizzarci e agire per la giustizia climatica!” È l’invito rivolto da End Fossil Roma per la mobilitazione che ha avuto luogo tra il 24 e il 7 giugno, e durante la quale La Sapienza è stata animata da un’occupazione organizzata con l’obiettivo di mobilitare gli studenti e la società civile per chiedere di porre fine all’economia basata sui combustibili fossili.

Il movimento parte dai dati scientifici che emergono dall’ultimo Intergovernmental Panel of Climate Change (IPCC) e dall’assunto fondamentale al quale tali dati afferiscono. Le attività umane, e le emissioni antropiche di gas serra in particolare, hanno inequivocabilmente causato il rapido riscaldamento globale al quale assistiamo. L’attività estrattiva, il traporto e l’utilizzo di combustibili fossili sono la principale causa di emissioni di gas a effetto serra e per limitare l’innalzamento della temperatura terrestre insieme agli effetti più catastrofici che questo comporta, è necessaria una riduzione rapida, profonda e immediata, delle emissioni in ogni settore nel decennio 2020-2030.

Repetita iuvant… e gli studenti, uniti agli attivisti di UG, Extinction e Scientist Rebellion, e molti altri ricordano a uno dei più importanti atenei pubblici italiani che il nostro paese ha sottoscritto l’Accordo di Parigi e che i contraenti si impegnano nella sua attuazione con azioni di sostenibilità ambientale per poter mantenere l’aumento della temperatura mondiale al di sotto di 2°C rispetto ai livelli del periodo preindustriale e contenere tale aumento a 1,5°C, indice che permetterebbe un abbassamento significativo dei rischi e degli effetti del cambiamento climatico. Va da sé che per tale ragione è fondamentale che ogni iniziativa di sostenibilità ambientale non possa prescindere da una riduzione concreta e decisa delle emissioni di tutti i gas serra, partendo in prima battuta dalla CO2, che entra nell’atmosfera attraverso la combustione di risorse fossili, e dal gas metano, emesso sempre attraverso la produzione e il trasporto di carbone, gas naturale e petrolio. Ad oggi sappiamo che la CO2 rappresenta nell’UE l’80% di tutto il volume delle emissioni di gas a effetto serra. Ma questa mobilitazione è qualcosa di più. Va oltre la sensibilizzazione promossa attraverso il mondo universitario. In Italia, il tema della crisi ambientale non sembra ancora considerato con l’urgenza e la serietà debita a causa delle nefaste pratiche di greenwashing e oscurantismo operate da attori della politica e grandi enti, che non sembrano avere un “naturale” interesse al processo di decarbonizzazione. Nonostante la ratifica dei trattati sul clima e il riconoscimento della validità dei risultati scientifici presentati in merito alla crisi climatica a livello internazionale, senza dimenticare il Green Deal europeo, molte università pubbliche intrattengono oggi legami con grandi compagnie responsabili dell’estrazione di combustibili fossili, che divengono finanziatrici di master e programmi di ricerca. Gli studenti della mobilitazione denunciano prorio tali ingerenze che arriverebbero a compromettere la libertà didattica dell’Università.

“Abbiamo trovato necessario riappropriarci, con i nostri corpi, di uno spazio che già da troppo tempo si schiera con aziende che hanno le maggiori responsabilità della crisi climatica, che hanno alimentato finora il motore di una crescita economica insensata con le fonti più dannose in assoluto: carbone, petrolio e gas.” Collettivo Pheidole, 24 giugno 2023

Dario Cevoli, chimico e attivista climatico che ha partecipato all’occupazione ci ha brevemente illustrato la strategia del movimento End Fossil e le peculiarità riscontrate nell’ateneo romano.

“Dobbiamo differenziare le vertenze. Il movimento internazionale punta ad usare le l’università e le mobilitazioni comeleva che gli studenti o i giovani possono utilizzare sia sull’opinione pubblica che sui governi e le istituzioni universitarie. Poi caliamo invece nella Sapienza vera e propria quelle che sono le specifiche vertenze di questa occupazione in modoche siano adeguate all’ambiente in cui si vanno a inserire. Le richieste sono tre. Da una parte quella di cessare gliaccordi, le convenzioni e i progetti di ricerca con enti come ENI, SNAM, Leonardo.. insomma con enti che sonoresponsabili di avere un impatto fortemente negativo nella crisi climatica, e che continuano a non voler limitare inqualche modo la loro responsabilità, in secondo luogo di pubblicare i dettagli di questi progetti e dei loro finanziamenti inmodo che siano chiaramente accessibili e visibili a tutti. E, soprattutto, la creazione di un comitato che faccia delleproposte di didattica alternativa. Dove si parli effettivamente della crisi climatica e non solo all’interno dei semplicicorsi, per iniziativa personale dei docenti, ma dove sia evidente che il tema messo al centro è la crisi climatica. Questo comitato dovrebbe inoltre stabilire i criteri necessari per qualsiasi collaborazione con enti esterni. Quindi si richiede chela Sapienza prenda una posizione. che dica chiaramente per collaborare con noi c’è bisogno di di avere certi temi e nonsemplicemente di avere degli ‘asset’ che siano utili per la Sapienza, che siano soldi, che siano informazioni o cose delgenere. . che stabilisca appunto dei criteri socio ambientali per le collaborazioni con enti e società esterne e che siamonitorabile, o compartecipato, dall’assemblea studentesca.

Quali sono in particolare le ingerenze di Eni?

 Società come ENI si prendono uno spazio dentro l’università senza doverselo guadagnare con le unghie e coi denti…spazi presi in vari modi..con i carrier day.. c’è un un master finanziato completamente dall’Eni che viene pubblicizzatoall’interno della facoltà di geologia.. insomma non hanno difficoltà a prendersi uno spazio, mentre – questo è il mioparere personale – non c’è altrettanto spazio che viene dedicato a essere chiari su quello che sta succedendo, quindi sullacrisi climatica e al garantire una didattica che sia in grado di formare e di preparare una risposta, o addirittura di crearedelle soluzioni al riguardo. Questo, ovviamente, non volendo colpevolizzare in nessun modo gli specifici professori, anzi.Una delle cose positive di questa occupazione è stata creare un dialogo diretto con i vari professori che in larga partehanno in corso dei progetti di ricerca e durante le loro lezioni danno un quadro della situazione e formano gli studenti acapire cosa sta succedendo. È ben diverso però creare un comitato che abbia a cuore la crisi climatica e che attraverso di esso l’università abbia una precisa posizione al riguardo.

Questo comitato sarebbe quindi in linea con la nostra Costituzione, perché garantirebbe non solo la libertàdidattica universitaria ma anche quella della ricerca. Sembra abbastanza pesante l’impronta data dalle grandi compagnie private, dal momento che,  come il movimento fa notare, non ci sarebbe neppure trasparenza sui finanziamenti, considerando il fatto che comunque stiamo parlando di un’università pubblica…

Si, esatto. Diciamo che c’è in qualche modo una forte ingerenza di partenariati pubblici-privati che in questo caso forseandrebbero visti con un po più di occhio critico e non accettarli come una semplice realtà dell’università. Soprattuttoquando hanno delle implicazioni etiche. Ora, è ovvio che ENI, ad esempio, ha anche un’enorme quantità diinformazioni..e ovviamente parlo dell’aspetto scientifico perché è quello di cui sono più a conoscenza, e quindi peresempio  è vero che ha un enorme database di informazioni che è utile alla ricerca, e che ovviamente ha fondi che puòusare per finanziare i corsi. Quindi effettivamente ha degli asset che sono utili all’università. Però il punto è proprioquello di mettere in discussione questi partenariati e di non accettarli come tali e dire che non possiamo farne a meno.. e che tant’è! Allora facciamo dei compromessi morali o ideologici. Ma chiedere all’università in quanto ente, come dici tu,statale, che quindi non è un ente privato e ha una posizione diversa, di esprimersi.

Il movimento ha organizzato seminari e lezioni aperte alla cittadinaza. Ci puoi parlare di questa esperienza? Quali sono i principali temi emersi rispetto alla crisi climatica?

 L’idea è proprio di riappropriarci dello spazio e di utilizzarlo per rimettere al centro il tema della crisi climatica. E quindisi è organizzata un’intera settimana di didattica alternativa, di conferenze, tavole rotonde, invitando altri enti e attivisti. E, come dici tu aperte a tutti.. proprio perché un’altra cosa secondo me importante in questi casi è proprio di permettereuna permeabilità. È molto bello vedere persone che non sono necessariamente studenti, ma che sono fortemente implicatinelle cose di cui parliamo, essere presenti e partecipare al dibattito. È un dare e un riprendersi sapzio. Oggi lo studente viene delegittimato a essere partecipe attivo di questo spazio che viene invece percepito come appartenente al corpodocente o all’istituzione università, in cui lo studente è solo lì a prendere un servizio. Questi momenti sono importantiperché il corpo studentesco diventa attore principale, diventa organizzatore di interventi, appunto di lezioni, dà il suocontributo alla sua linfa vitale, che è la didattica.

 Un modello molto diverso da quello che siamo abituati a percepire nelle università italiane nelle quali si assiste spesso ad una reificazione del sapere in funzione del mercato. Quindi questo è anche un riappropriarsi in termini concettuali dell’università pubblica..

 Assolutamente, io vorrei mettere l’accento su questo perché è un aspetto che mi sta molto a cuore. Io sono cresciuto aRoma, sono stato studente alla triennale e poi ho finito il mio percorso universitario all’estero con una specialistica e poiun dottorato di ricerca. In questo momento sono quello che si chiama un phd candidate, ho completato il mio percorsodottorale e per questo, come dicevo, sono ricercatore all’estero, a Lille, in Francia, e ora che mi trovo ad avere unmomento di pausa, ho voglia di dare una mano perché mi sento coinvolto.

 E in particolare di cosa ti occupi?

 Io sono un chimico. Come formazione sono un chimico fisico, e in particolare mi sono occupato di analisi di dati, e quindidi creare modelli statistici per ottenere il massimo delle informazioni da tecniche di chimica analitica, in particolare dichimica fisica, come la spettroscopia.

Ci racconti perché hai aderito all’occupazione con Scientist Rebellion?

Ho seguito il lavoro di Extinction Rebellion, che esiste già da diversi anni ed è affine a Scientist Rebellion. Ho iniziato come persona. Come persona che soffre di una forte ecoansia..ogni volta che avevo modo di di leggere di dove e di comestiamo andando a parare rispetto alla crisi climatica, la cosa mi produceva un forte malessere e quindi avevo anchenecessità di fare qualcosa a riguardo.. e dall’altra parte, in quanto ricercatore, trovo forse questo uno dei modi miglioriin cui posso rimettere in gioco le competenze che ho acquisito. Se vuoi anche il privilegio che mi ha portato ad acquisirequeste competenze, perché non è detto che tutti possano permettersi, purtroppo, un’istruzione universitaria di alto livello. Quindi il senso di gratitudine che ho per essere riuscito a fare questo percorso.  E in questo momento della mia vita, è il modo più in linea col mio sentire, con i miei bisogni interiori e credo anche con i bisogni esterni nel mondo nel momentoche viviamo.

Su quale fronte si sta muovendo Scientist Rebellion?

Noi ci stiamo concentrando in questo momento in particolare sull’economia fossile e sulla riduzione dell’uso dei combustibili fossili, ma anche dei loro finanziamenti statali. Perché tra le varie cose che escono dall’ultimo reportdell’IPCC, c’è il fatto che abbiamo questa brevissima finestra per intervenire e abbassare drasticamente le emissioni.Altrimenti potremmo già essere troppo in ritardo… per evitare di far scatenare una serie di effetti domino globali in cuipoi la situazione non diventa più recuperabile.

So che per  la prima volta l’Intergovernmental Panel for the Climate Change, l’IPCC, fornisce indicazioni pratiche per arrestare l’escalation della crisi climatica..quali sono le azioni possibili e quali le pressioni politiche che si possono fare?

La primissima cosa che mi viene in mente è quello di cui stiamo parlando in questi giorni..cioè andare a ridurre ifinanziamenti pubblici relativi all’uso di combustibili fossili e soprattutto non far partire nuovi progetti che siano collegaticon la loro estrazione e con il loro uso. Soprattutto anche con la scusa di considerare il gas naturale come energia verde. Oppure di considerare la cattura dell’anidride carbonica come una possibilità fattibile.. tutte queste sono cose chepossono essere messe in discussione. Utilizzare invece i fondi per favorire altri tipi di progetti ricerca. Per ladecarbonizzazione, per la decrescita e per la transizione energetica.

Quale riflessione più profonda però è necessario fare sull’intero sistema? Diciamo che ci sono delle questioni per lequali bisogna scendere assolutamente nel dettaglio..

Assolutamente. In questo sono d’accordo.. salvo poi parlare in termini più ampi dei modi e degli ambienti in cui sceglieredi scendere di più nel dettaglio.. è ovvio che da una parte spesso viene usato come forma di delegittimazione quello didire all’attivista ‘sì, ok..però adesso dammi il programma, il progetto programmatico per risolvere la crisi climatica, altrimenti la tua preoccupazione non ha senso. L’obiettivo dell’attivismo fatto in queste forme, cioè con appunto degli attidi disobbedienza civile, con una certa risonanza mediatica, è quello poi di creare un sentimento nella popolazione civile, che diventi un movimento di massa, che a sua volta crei della pressione.. che porti a far si che si inverta quello che si stafacendo, e anzi si vada nella direzione contraria. Elaborare delle soluzioni è sempre complesso e da una parte il bisognointerno è quello di vedere una soluzione facile. È umano. È un bisogno anche mio. La questione è ora relativa al potere politico, che sta andando in tutt’altra direzione rispetto all’urgenza che abbiamo ora d’intervenire.

Mentre parlo con Dario Cevoli l’occupazione è ancora in corso e proprio durante la nostra intervista la Rettrice Antonella Polimeni, dopo cinque giorni di occcupazione, ha accettato di parlare con con gli studenti. Alla stesura della presente intervista, 23 giugno 2023, le richieste del movimento rimangono ancora lettera morta da un punto di vista formale. Dopo che gli studenti hanno domandato di metterle all’ordine del giorno della convocazione del Senato Accademico per il 13 giugno, esplicitandole attraverso un documento e una campagna di supporto emersi in occasione dell’occupazione, la riuniuone con gli studenti, dapprima accordata, è stata annullata dal rettorato.

 

 

 

 

 

[1] https://www.ipcc.ch/report/ar6/syr/downloads/report/IPCC_AR6_SYR_SPM.pdf

[2] https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/HTML/?uri=CELEX:22016A1019(01)

[3]https://www.europarl.europa.eu/news/it/headlines/society/20180301STO98928/emissioni-di-gas-serra-per-paese-e-settore-infografica

[4] Il Green Deal europeo si prefigge lo scopo della neutralità climatica, ovvero della neutralità carbonica – detta forse impropriamente a “emissioni zero” – che consiste nel raggiungimento dell’equilibrio tra le emissioni e l’assorbimento di carbonio entro il 2050.

[5]https://www.dst.uniroma1.it/node/8043

[6] https://actionnetwork.org/letters/polimeni-liberaci-dalleni

 

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Elena Coniglio