Dalla crisi del sistema alla crisi post-covid

Dalla crisi del sistema alla crisi post-covid

Sistema Sanitario Nazionale al bivio

Dopo numerose sollecitazioni giunte alla nostra redazione da parte di medici, personale sanitario e cittadini alle prese con gravi difficoltà nel far valere il loro diritto all’assistenza medica e per denunciare l’inefficienza del SSN, non abbiamo potuto esimerci dall’intraprendere un percorso di ricerca volto a sondare la situazione. Il contesto non è semplice ed è distinto dalle differenze regionali che si inseriscono nella complessa gestione della sanità pubblica a partire dalla riforma del titolo V della Costituzione, dalle differenti composizioni demografiche e sociali, dalle riforme e dalle politiche sanitarie intraprese nel corso del tempo. Un contesto istituzionale e umano da analizzare e raccontare cercando di passare dal singolo caso di malasanità e inadempienza, alle ragioni macroscopiche e non riducibili alla sola dimensione nazionale.

Non è una novità, la sanità è in crisi e le notizie degli ultimi giorni non sono affatto rassicuranti. Sappiamo che abbiamo delle scadenze incombenti. La fine dell’allargamento della spesa pubblica oltre il deficit di bilancio annuale, portato al 3,5% dall’UE per rispondere alla crisi da COVID-19 (che aveva portato nuovo ossigeno al sistema sanitario italiano), e la legge di bilancio per il 2024, con la quale non si finanzierà adeguatamente la sanità (si valuta che in verità sarebbero necessari investimenti costanti per riallinearsi agli standard europei), una delle ragioni per cui CGIL e UILS hanno già programmato mobilitazioni sindacali e scioperi su base regionale a partire dal 17 novembre.

Gli incrementi finanziari annunciati con la manovra (3 miliardi) saranno impiegati in gran parte (oltre 2 miliardi) per il rinnovo dei contratti del personale medico sanitario, per detassare e aumentare il pagamento del lavoro extra orario. Scopo dichiarato delle misure? Il taglio delle liste d’attesa, il problema “emergenziale” sempre in auge. Per mantenere o raggiungere i livelli essenziali di assistenza e le misure annunciate – tra le quali si contempla anche una autority di controllo, però, si prevede per le Regioni anche un innalzamento del tetto di spesa delle prestazioni acquistabili dalla sanità privata. In sostanza: i fondi molto probabilmente non basteranno, il Governo potrà affermare di non aver tagliato in sanità pubblica (quando prevede una riduzione di investimenti in rapporto al Pil fino al 2025), mentre al contempo quella privata si insinuerà maggiormente nel sistema nazionale.

Rientrata l’emergenza pandemica, il sistema sanitario pubblico non sembra più essere di primaria necessità. Pur trovandosi in uno stato di decadenza ormai difficile da camuffare, nonostante le proclamate eccellenze che non riescono a gettare il proprio lustro sull’insieme. A dirla tutta, non sono poche le voci che parlano di “morte del diritto alla salute”. Un problema che non si può certo prendere alla leggera e da pochi angoli prospettici, che non deve essere né ideologizzato né tantomeno taciuto, ricordandoci che la corruzione e la malagestione nella cosa pubblica sono sì un leit motiv nella storia del nostro paese, ma che non devono mai far cadere nel tranello della semplificazione a priori, dannosa ad ogni ragionamento.

Partiremo quindi da semplici domande elementari. Saremo noi a dire addio ai principi di uguaglianza e solidarietà di cui parla l’art.32 della Costituzione? Il sistema sanitario nazionale si trova davvero ad un bivio? Il principio dell’universalismo è sotto l’ultimo assalto definitivo? E perché? Quali sono i modelli di buona sanità pubblica che si potrebbero al contrario prendere a modello per sventare questa deriva? E nello specifico, qual è il ruolo giocato dall’autonomia differenziata in tutto questo? I fondi stanziati con il PNRR per Case e Ospedali di Comunità, stanno davvero portando agli esiti sperati colmando i gap dell’assistenza territoriale nelle aree più svantaggiate?

Ma ora la storia. Per comprendere come siamo giunti sin qui, dobbiamo infatti fare un primo passo indietro. Secondo Nerina Dirindin, docente di Scienza delle Finanze e di Economia e organizzazione dei sistemi di welfare presso l’Università di Torino, ex senatrice, il Servizio sanitario nazionale è stato minato da una lunga opera di logoramento. In un suo articolo recentemente pubblicato, ‘Il lungo assedio al SSN’, parla esplicitamente di un attacco che è stato subito in maniera simile da molti sistemi sanitari nel mondo “in nome del neoliberismo e delle leggi del mercato”. In Italia, ricorda, iniziò nel 1992 con l’aziendalizzazione introdotta dalla legge De Lorenzo. Nacquero forme di assistenza differenziate e la libera professione intramuraria, o intramoenia, (una particolarità italiana), già oggetto di lungo dibattito e che ricadrà, insieme ad altre criticità sulle quali ci focalizzeremo, nelle attenzioni della nostra inchiesta. Si tratta delle prestazioni erogate al di fuori del normale orario di lavoro dai medici di un ospedale, i quali utilizzano le strutture ambulatoriali e diagnostiche dell’ospedale stesso a fronte del pagamento da parte del paziente di una tariffa”. Pratica molto criticata e dibattuta (per molti una vera e propria forma parassitaria dell’utilizzo delle strutture e delle strumentazioni pubbliche)  e che, secondo l’idea principe, sarebbe nata proprio per abbattere le liste di attesa, compensando nella realtà solo i bassi compensi dei medici a fronte di un allungamento dei tempi di attesa. Un’idea a quanto pare piuttosto fallimentare e creatrice di ineguaglianze e ingiustizie, senza contare gli scandali.

Nel corso del tempo, dopo questa prima riforma, a partire proprio da quei primi anni Novanta che cambiarono il volto dell’Italia, il SSN subì una forte trasformazione in nome dell’ottimizzazione di un sistema che per i liberali comportava una spesa ritenuta ingovernabile: riduzioni del personale sanitario, dei posti letto, smantellamento dei pronto soccorso, dei presidi sanitari, unite ad una riduzione progressiva degli investimenti nel settore. E, come ribadisce Dirindin, “in un contesto in cui prevaleva l’idea che ridurre il ruolo dello Stato e lasciar fare al mercato fosse la soluzione migliore, e non solo nella sanità”, che ad oggi ancora prevale. Come possiamo infatti osservare in base sia all’esperienza dell’ultimo decennio che alle proiezioni per il futuro, fatta eccezione per la “struttura commissariale per l’emergenza” imposta dal Covid, sappiamo infatti che i tagli sono destinati a non arrestarsi, rendendo il quadro della sanità pubblica sempre più cupo. Larga parte della popolazione si sente abbandonata e, se in assenza dell’assistenza pubblica non può ricorrere alla sanità privata, rinuncia in molti casi non solo alla prevenzione e ai controlli, ma anche alle cure, con conseguenze che si rivelano talvolta molto gravi.

Se confrontiamo i dati pubblicati dall’ISTAT nell’ultimo rapporto sulla povertà, inoltre, comprendiamo bene la portata drammatica di questo fenomeno che si intreccia ad una più profonda crisi sociale ed economica in via di peggioramento a causa dell’inflazione e che coinvolge almeno 5,6 mln di individui, tra cui 2,8 mln di minori, che versavano in povertà assoluta nel 2022 e che verosimilmente avranno ulteriori difficoltà nell’accesso alla prevenzione e alla sanità.

Senza contare la situazione in cui versa il personale medico e degli operatori sanitari, già molto provato dopo i ritmi imposti nel tempo e nello scorso triennio con la pandemia, da un rapporto medici-numero di abitanti per nulla ottimale (e in molti casi allarmante, come per esempio in Lombardia, regione ad alta densità di popolazione dove si parla di “deserto sanitario” e che è per questo tra le maggiori beneficiarie del PNRR per numero di Case e Ospedali di Comunità), dall’invecchiamento dello stesso personale medico (più del 50% ha oltre 50 anni) e da un numero di infermieri per il quale siamo fanalino di coda in Europa.

A questo si aggiungono le diseguaglianze su base regionale che sono aumentate in seguito alla riforma del Titolo V della Costituzione, con la quale si è affidata la tutela della salute alle legislazione concorrente tra Stato e Regioni con un ampliamento delle competenze e delle autonomie territoriali.

Alla luce di alcune delle criticità elencate, se il sistema è davvero sotto assedio, per rigore, si deve tentare anche di riconoscere chi siano gli assedianti. I potenziali nemici di un sistema sanitario pubblico, visto forse come intralcio alla competizione sul mercato di servizi privati concorrenti. Cercheremo dunque di domandarci e verificare, con debiti confronti sul piano europeo e internazionale, quanto abbiano inciso l’ideologia neoliberale e le brecce aperte dagli attori in gioco sulla decadenza del SSN aprendo alla proliferazione della medicina privata e delle assicurazioni sanitarie integrative private in assenza di una reale garanzia di tutela della salute.

Tutela, che è bene ricordare, deriva da responsabilità politiche, individuali e collettive, e che necessariamente si lega ad altri problemi cruciali in tal senso: la reale e sostanziale realizzazione di uno dei diritti sociali sanciti dalla nostra Costituzione, la qualità della vita dell’individuo nel suo insieme secondo il paradigma della salute (e non della cura), l’accesso al cibo e ad una nutrizione di qualità, la riduzione necessaria dell’inquinamento ambientale (tra le principali cause delle morti premature) e il cambiamento climatico, altro fattore con il quale dobbiamo necessariamente fare i conti, unitamente all’ormai rapido declino demografico e al relativo invecchiamento della popolazione.

Attraverso le testimonianze dirette che stiamo raccogliendo, desideriamo quindi offrire nel corso dei prossimi mesi uno spaccato che possa essere utile per sollecitare domande e riflessioni. Lo faremo abbordando le criticità senza sganciarci dall’umanità delle storie personali, gettando qualche sguardo sui cambiamenti storici e globali, senza mai dimenticare la nostra bussola: l’idea che la sanità pubblica debba restare un fondamentale patrimonio collettivo da difendere.

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Elena Coniglio