La riforma Cartabia istituzionalizza il modello della giustizia riparativa

La riforma Cartabia istituzionalizza il modello della giustizia riparativa

Parliamo di riforma della giustizia penale e modello riparativo con la Dott.ssa Mariantonietta Cerbo, già dirigente penitenziario presso Uffici di Esecuzione Penale Esterna e direttrice di Uffici Regionali dell’Amministrazione Penitenziaria in Lombardia, Marche, Abruzzo e Molise; socia fondatrice e Consigliera Tesoriere del Centro Europeo Studi Penitenziari – CESP di Roma, membro FIDU – Federazione Italiana Diritti Umani ed attuale incaricata del settore di lavoro “carcere” presso il Partito Socialista Italiano.

M.G.: Egregia Dott.ssa Mariantonietta Cerbo, intanto la ringrazio per la sua disponibilità e le faccio i complimenti per la sua vita dedicata alle tematiche penitenziarie e all’impegno politico. La riforma della giustizia penale si pone l’obiettivo di accorciare le tempistiche dei processi penali, per questa ragione la novella introduce numerosi meccanismi deflattivi mentre la giustizia riparativa sembra andare in una direzione opposta. E’ proprio così?
M.C.: Non la vedo in questo modo. Infatti, la riforma consente al giudice della cognizione di applicare anche pene sostitutive delle pene detentive brevi, che rientrano nel modello di giustizia riparativa particolarmente la pena sostitutiva del L.P.U. Si aggiunga che quando la pena sostitutiva comminata scende al di sotto dei tre anni è suscettibile di trasformarsi in affidamento in prova al servizio sociale con accesso dalla libertà anche su proposta del P.M. ai sensi delle nuove previsioni. L’effetto deflattivo dei processi, pertanto, è assicurato e il modello di giustizia portato avanti dalla Ministra Cartabia dimostra di essere non in contrasto, bensì coerente con gli obiettivi di celerità auspicati. La riforma ha, pertanto, contribuito a sistematizzare un nuovo modello raccordandolo con le prime prescrizioni di giustizia riparativa, già presenti in nuce nell’Ordinamento Penitenziario del 1975, basi pensare all’art. 47 c. 7 O.P. che prevede che “l’affidato si adoperi in quanto possibile in favore della vittima del suo reato”. Nella mediazione penale, che è parte del modello di giustizia riparativa, può ravvisarsi un ostacolo alle esigenze di celerità laddove la vittima frapponga resistenze al percorso di riparazione dell’offesa. Tuttavia, nell’economia di una riforma assai complessa credo  che ciò che avrà più impatto sarà l’ampliamento dell’ambito di applicazione dell’istituto della messa alla prova con la sospensione del procedimento, che vede al centro del programma di trattamento previsto lo svolgimento di L.P.U. come riparazione simbolica nei confronti della vittima nonché dell’ intera comunità di appartenenza.

La Dott.ssa Mariantonietta Cerbo, sociologa esperta del settore penitenziario, ci illustra il ruolo dell’intervento apportato dalla legge n. 134/2021 e dal d.lgs. n. 150 del 2022 nel superare i modelli retributivo e rieducativo

M.G. Questa sistemazione risponde alle aspettative? Secondo Lei è un buon risultato?
M.C.: Gli effetti che nascono dall’esito positivo di un programma di giustizia riparativa mettono in luce che nasce un nuovo modello penale. Esso offre percorsi atti a favorire la definizione anticipata del procedimento e, insieme, permette di sviluppare un percorso interiore del reo verso una presa di coscienza del disvalore della propria azione antigiuridica. Basti pensare che il reo aderisce ad un programma con la volontà di ricucire lo “strappo” che il suo reato ha prodotto in seno alla società. I nuovi percorsi di definizione anticipata del procedimento si aggiungono a istituti già  esistenti come l’estinzione del reato per condotte riparatorie ex art. 162 ter c.p., perciò non posso che ravvisare un buon risultato complessivo. In riferimento all’esecuzione penitenziaria, l’ampliamento apportato della riforma Cartabia, in particolare con il nuovo art. 15 – bis O.P., si pone organicamente ed in continuità con un percorso precedente che ha fatto da apripista. Mi preme ricordare che la possibilità di partecipazione dei ristretti a programmi di natura riparativa con lo svolgimento di L.P.U. era già presente con gli artt. 20 ter e 21 c. 4ter dell’ Ordinamento Penitenziario.

M.G.: Dopo il record di suicidi del 2022, da più parti si è parlato di “situazione insostenibile” delle carceri italiane. Secondo Lei quali sono i settori nei quali si deve intervenire, al di là della riforma?
M.C.: Si parla costantemente dei suicidi nelle carceri, tuttavia si fatica a individuare le risposte a un problema che origina dal disagio causato da molteplici fattori. Anzitutto, il disagio psichico che colpisce detenuti e anche operatori penitenziari, in particolare quelli addetti alla vigilanza che svolgono un lavoro estremamente usurante sul piano psicologico. In secondo luogo, le condizioni delle carceri italiane negli ultimi anni sono andate peggiorando sotto diversi punti di vista. Vi è carenza di organico specialmente per quanto riguarda i Direttori penitenziari. L’edilizia penitenziaria necessita di una riprogettazione architettonica globale degli spazi che ne migliori la vivibilità e soprattutto la funzionalità in riferimento all’espletamento delle attività rieducative trattamentali. Sono aumentate le problematiche attinenti alla tutela della salute dei detenuti. Nella riforma Cartabia c’è la volontà di cambiare la visuale intorno al mondo delle carceri. La Ministra ha sempre detto con chiarezza che, quantunque il senso comune veda la pena come detenzione in carcere a carattere afflittivo, la Costituzione non parla  mai di pena “detentiva”, pertanto questa dovrebbe impiegata solo come extrema ratio e solo nei confronti di soggetti con carriere criminali importanti. La persona che ha commesso il reato deve risarcire la comunità civile del proprio gesto, ma la restrizione in carcere non può essere l’unica o la migliore soluzione, soprattutto per i suoi effetti stigmatizzanti e desocializzanti che producono recidiva.

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Redazione Proposte UILS