Smart working: soluzione per il futuro?

Smart working: soluzione per il futuro?

Lanciata la campagna #iolavorosmart

Vantaggi e svantaggi dello smart working raccontati dai lavoratori

 

In un momento di grande difficoltà vogliamo raccontare come si riorganizzano le aziende, gli enti pubblici e soprattutto come vivono questo nuovo status i lavoratori“. Con questo obiettivo la Ministra del Lavoro Nunzia Catalfo e quella della Pubblica Amministrazione Fabiana Dadone lanciano la campagna #iolavorosmart per raccontare come gli italiani stanno vivendo e organizzando il lavoro a distanza durante l’emergenza sanitaria COVID-19.

Con il Decreto Cura Italia del 17 marzo 2020, il Governo dedica grande attenzione al tema del lavoro, in particolare allo smart working, stanziando 10 miliardi di euro per tutelare lavoratori e famiglie. Ciononostante, la ministra Catalfo ha voluto fin da subito avviare il lavoro agile nelle aziende, in cui è possibile applicarlo,dando la possibilità ai lavoratori di raccontarsi attraverso fotografie ed esperienze. Sono molte, infatti, le aziende pubbliche e private che hanno deciso di aderire alla campagna, pubblicando sui loro social e siti immagini che ritraggono i lavoratori in scene di vita lavorativa quotidiana con commenti e riflessioni sullo smart working, un progetto che rappresenta un’Italia flessibile e pronta al cambiamento,che si adegua una condizione di emergenza come quella che sta vivendo il nostro Paese.

L’articolo 18 della legge del 22 maggio 2017 in materia di tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale descrive le circostanze e caratteristiche dello smart working in Italia. In particolare il comma uno dispone che “… le disposizioni del presente capo, allo scopo di incrementare la competitività e agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, promuovono il lavoro agile quale modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato, stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa…”. Tutte disposizioni applicate dalle aziende in questa fase di isolamento forzato. Ma la domanda che gli italiani, in particolare i lavoratori, si pongono è se lo smart working può essere mantenuto anche finita l’emergenza sanitaria. A seconda dei settori, i lavoratori si dividono tra chi auspica un mantenimento del lavoro agile, in quanto conciliante con spazi e tempi domestici, e chi, al contrario, lo ritiene alienante in funzione alla propria professione.

Miriam Di Nasso, assistente telefonica presso il gruppo Unicredit Spa di Torino, afferma che“tra i vantaggi dello smart working c’è il dispendio spazio-tempo relativo al tragitto per arrivare al lavoro e inoltre maggiore è la comodità a livello pratico. Una volta forniti gli strumenti d’ufficio, il lavoro è indubbiamente fattibile anche da casa”. Un altro aspetto da non sottovalutare, continua Miriam, “è che il lavoro a distanza è più efficiente dato che non ci sono tempi morti, spesso dovuti alle pause con i colleghi. Ciononostante, la mancanza di interazione, fondamentale in un ambiente lavorativo, rende lo smart working più pesante”.Questo, per lei, è l’elemento svantaggioso del lavoro agile.

Un’opinione analoga è sostenuta anche da altri lavoratori in smart working, come Fabia Garbossa, impiegata alla Fiat Chrysler Automobiles FCA, un’azienda in cui la competitività è alta e la mancanza di interazione con l’équipe di lavoro è pregiudizievole per il normale svolgimento delle mansioni. Sostiene, infatti, che “si perdono dinamiche sociali importanti nella costruzione del gruppo, del lavoro e delle relazioni in generale. Dinamiche che permettono di guadagnare la fiducia delle persone con cui si lavora”.

Tuttavia, nell’ambito della Pubblica Amministrazione, lo smart working è uno strumento di lavoro alternativo efficiente e semplice da portare avanti per i dipendenti, per i quali la Ministra Fabiana Dadone spende delle parole rassicuranti “Le pubbliche amministrazioni hanno colto l’importanza del delicato frangente che viviamo, stanno recependo regole e indicazioni giunte dalla Funzione pubblica e stanno avviando o rafforzando progetti di smart working”. Elena Cammilli, consulente della Pubblica Amministrazione del Ministero dell’Economia, sostiene che “il mansionario svolto in ufficio è fattibile anche a distanza in quanto sia gli strumenti a disposizione sia la relazione con i colleghi sono appaganti per il normale svolgimento della mole di lavoro, sebbene a distanza”. E, in effetti, come afferma la ministra Dadone, il 30-40% dei dipendenti pubblici ritornerà in ufficio non nell’immediata fase due: “ci saranno anche delle postazioni di co-working e servirà un cambio di mentalità, nella formazione del personale e nel ruolo dei dirigenti. Chi lavorerà in smart-working e per quanto tempo lo decideranno in autonomia le diverse amministrazioni”.

Il discorso è antitetico per i dipendenti del Ministero dell’Istruzione, in particolare i docenti della Scuola Primaria. Contrariamente ai lavori d’ufficio, quello dell’insegnante, oltre a rivelarsi maggiormente impegnativo a distanza, affronta delle difficoltà sia per gli insegnanti, sia per gli alunni. Antonella Spadea, docente supplente su posto vacante di sostegno presso la scuola primaria De Amicis di Nichelino (TO) e Giovanna Sireci, anch’essa supplente su posto vacante presso l’Istituto comprensivo Beppe Fenoglio di La Loggia (TO) riconoscono alienante e vincolante il ruolo di insegnante ricoperto a chilometri di distanza dai loro alunni. Sebbene la docenza a distanza, tramite le video lezioni, sia cadenzata da appuntamenti fissi e quindi costante, la fatica interattiva con i bambini si fa sentire. “Seguire più classi fa sì che noi insegnanti di sostegno lavoriamo anche dieci ore al giorno rispetto alle cinque previste da contratto in quanto dobbiamo essere tutto il giorno disponibili alle video lezioni, per conciliare gli impegni delle famiglie”. Inoltre “Manca la parte educativa e relazionale con la classe, motivo per cui lo svantaggio maggiore è che viene meno il ruolo di educatore e l’insegnate svolge una mera funzione didattica. Ne consegue un apprendimento difficoltoso per molteplici ragioni, in primis per la presenza del genitore, che si propone come studente, talvolta suggerendo le risposte. Ma, aspetto più importante, manca la relazione tra pari dal punto di vista sociale. Infatti, in video, i bimbi si cercano scrivendo nelle chat di gruppo, non focalizzandosi sulle lezioni”. Quest’ultimo segnale evidenzia la propensione naturale dei bambini a cercare un’interazione che permetta loro di poter costruire la propria identità individuale e di gruppo. I monitoraggi del Miur, in materia di didattica a distanza, affermano che Il 97,3% delle scuole ha attivato specifiche misure per la didattica a distanza dei ragazzi con disabilità. E, in effetti, molti sono stati gli strumenti, sebbene difficoltosi in termini di relazione insegnante- studente, a favore dei ragazzi diversamente abili. Giulia Grasso e Micaela Lazzaris, insegnanti di sostegno presso l’Istituto comprensivo Beppe Fenoglio di La Loggia (TO), asseriscono la fatica della DaD per il sostegno di ragazzi con disturbi dell’apprendimento come l’autismo. Entrambe seguono bambini affetti da autismo e, durante la DaD hanno riscontrato difficoltà sia in ambito relazionale, sia pratico. “I bambini hanno bisogno di avere accanto l’insegnante, per loro come un “braccio” che li guida, agevola i loro apprendimenti, anticipa i momenti di crisi e modula il lavoro in base all’umore del giorno. Tutto questo con la didattica a distanza viene a mancare in quanto svolto interamente col contatto, specialmente visivo”. Per quanto concerne l’aspetto relativo agli strumenti di lavoro, “Abbiamo fatto tanto affidamento sui genitori, gli abbiamo insegnato ad insegnare, abbiamo fornito loro schede specifiche e abbiamo effettuato videochiamate singole apposite per il bambino che lo necessitava. Inoltre il bambino autistico è settoriale e pertanto le attività proposte, sebbene affrontate con maggiore difficoltà a seconda dei giorni, vengono svolte a scuola, dunque l’ambiente domestico viene riconosciuto come luogo di riposo. È stato, quindi, difficile, trasferire le attività da fare”. Sicuramente, la DaD, un metodo di lavoro a distanza faticosa e richiedente pazienza e maggior impegno da parte degli insegnati che, oltre a trasferire contenuti didattici, hanno potenziato il loro ruolo di educatori in quanto devono progettare dei metodi di apprendimento efficaci e che facciano sentire gli alunni come parte attiva.

Smart working - soluzione per il futuro

Inoltre  è stata la modalità di smart working la più seguita nel corso di questi mesi perché l’istruzione ha un’importanza primaria nel nostro Paese; motivo per cui è stato uno strumento didattico accessibile a tutte le famiglie. Stando ai monitoraggi effettuati dai Miur, il 94% degli studenti è stato coinvolto in un’attività di didattica a distanza in maniera sincrona e non, percentuale incrementata anche dagli aiuti che il Governo ha stanziato con il Decreto Cura Italia, grazie al quale sono stati acquistati 205.000 dispositivi digitali e 117.000 connessioni internet per i meno abbienti. Per contro, solo il 2,6% degli studenti, con una punta del 5,85% in Calabria, risulta privo di strumenti per la DaD.

Un Paese, l’Italia, che ha saputo far fronte all’emergenza sanitaria sia in termini sanitari che professionali dando la possibilità alle aziende e alla Pubblica Amministrazione di portare avanti il lavoro con qualche difficoltà, ma anche con strumenti vantaggiosi per il singolo. Un esempio di Italia forte, pronta al cambiamento e che si prende cura dei suoi cittadini e soprattutto dei lavoratori.

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Paola Sireci