La femminilizzazione dei flussi migratori

La femminilizzazione dei flussi migratori

Quadro generale della parte fragile dell’immigrazione.

Attualmente le donne straniere residenti in Italia sono molto più numerose rispetto al passato

 

La femminilizzazione dei flussi migratori, negli ultimi anni, è diventata materia di numerosi studi finalizzati alla comprensione di meccanismi e dinamiche della numerosa e, addirittura, preponderante presenza femminile nelle ondate migratorie.Gli studi si concentrano sulle scelte dei percorsi, sui vari tipi di migrazione al femminile e sulle implicazioni sociali, economiche e psicologiche del migrante essendo donna ma anche sulle problematiche che si creano tra approcci femministi e multiculturali relativi alla tutela giuridica per le donne da forme di violenza e discriminazione. Infatti la legislazione e le politiche italiane spesso non si sono dimostrate efficaci in ambito giuridico anche se, dal 2015 in poi, data la portata numerica e eterogenea del fenomeno, si è iniziato a muovere qualcosa. La componente femminile, in Italia, risulta particolarmente forte all’interno della popolazione immigrata: il 52,7% della popolazione straniera residente è, infatti, costituita dalle donne. Tra le più numerose le donne romene, quelle albanesi, marocchine, ucraine, cinesi, moldave e polacche. Nella maggior parte dei casi,(8 donne su 10), le donne immigrate sono presenti in Italia per lavoro o ricongiungimento familiare.  Casi a sé sono rappresentati dalle donne migranti richiedenti asilo e rifugiate.

Lavoro
La maggior parte delle donne straniere viene in Italia per lavoro. Sono  inserite nel comparto dei servizi domestici o di cura alle famiglie, svolgendo lavori poco qualificati e in settori specifici, in particolare nei servizi di assistenza alla persone, come colf, addette alla cura degli anziani e baby-sitter.
Negli ultimi 15 anni, le lavoratrici immigrate si sono rivelate delle risorse indispensabili per le famiglie italiane in sostituzione delle donne italiane, sempre più partecipi al mercato del lavoro e al loro minore coinvolgimento nelle attività di tipo familiare.
I Paesi di provenienza sono le Filippine, l’America Latina, l’Eritrea e Capo Verde, ma più recentemente anche l’Est Europa (Romania, Polonia, Ucraina, Moldavia).
Sono  donne che emigrano da sole, talvolta supportate dall’intermediazione di un Istituto religioso oppure da reti di connazionali.

Motivi familiari

Spesso è a seconda del Paese d’origine che si può misurare il grado occupazionale delle donne straniere. In alcune comunità, come quelle del Sud Est asiatico, Bangladesh, Indiane e nord africane, il ruolo della donna viene relegato a quello di cura della casa e della famiglia. Queste donne raggiungono il coniuge nei Paesi europei in cui risiedono e lavorano già da qualche anno e vivono una situazione molto spesso di isolamento e difficoltà di integrazione. In queste circostanze le donne sviluppano una forte dipendenza, non solo economica, dal marito o più in generale dagli uomini di casa (padre, fratello e parenti più prossimi). L’isolamento spesso proviene però anche dalla difficoltà all’inserimento lavorativo come il non conoscere la lingua del posto in cui ci si trova o, nel caso delle musulmane, l’uso del velo.

Pari opportunità - Silvia Altieri - La femminilizzazione dei flussi migratori

Le categorie più fragili

Oltre alle donne che si spostano per il ricongiungimento familiare, ci sono le migranti rifugiate e richiedenti asilo. Queste donne provengono quasi tutte da Medioriente e Africa centro- meridionale a causa dell’instabilità politica e delle difficoltà sociali di quelle zone. Arrivano in Italia per lo più percorrendo la rotta libica e quella mediterranea. Nella stragrande maggior parte dei casi sono costrette a migrare forzatamente dal proprio paese di origine per fattori comuni a quelli che spingono gli uomini, come conflitti, fattori ambientali e instabilità economica ma anche per altri che colpiscono specificamente le donne come ad esempio le violenze sessuali, le mutilazioni genitali e i matrimoni forzati. Le collettività più numerose di questo genere sono quella eritrea (26,2%), quella nigeriana (25,4%) e quella somala (23,4%).

Il 9,9% dei migranti sbarcati è rappresentato dalle donne. In molti casi viaggiano da sole e la quasi totalità di loro sono state vittime di violenza sessuale sia prima di intraprendere il viaggio verso l’Europa da parte di famigliari, sia durante da parte dei trafficanti e, talvolta, anche arrivate a destinazione. Quello della violenza sessuale è un problema molto serio e di portata veramente ingente. Nonostante le associazioni dedicate all’accoglienza delle donne facciano il possibile per soccorrere e supportarle, non hanno operatori con una formazione adeguata per far fronte a tale emergenza.Al Testo Unico sull’immigrazione, è stato aggiunto, al fine di tutelare maggiormente le vittime di violenza sessuale, l’art.18 bis,che introduce un nuovo tipo di permesso di soggiorno, ossia per motivi umanitari alle vittime straniere di violenza domestica.

Quando si parla di immigrazione, il più grande errore che si commette è quello di dimenticarsi che report, numeri e immagini si riferiscono a persone, in carne ed ossa e le donne, anche in questo contesto, soprattutto in questo contesto, si riconfermano la categoria più fragile di questo drammatico fenomeno.

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Silvia Altieri