Privilegiare il parto fisiologico e naturale

Privilegiare il parto fisiologico e naturale

Tutela dei diritti della partoriente e del neonato

La gran parte delle gravidanze non presenta problematiche specifiche, eppure da circa 50 anni l’estrema medicalizzazione di parti e gravidanze ha portato ad una forma di violenza che l’Onu ha catalogato come violenza di genere.

 

Con la medicalizzazione dei parti, ovvero con la tendenza, da quasi cinquant’anni a non partorire più tra le mura domestiche ma a preferire le strutture ospedaliere, ha iniziato a diffondersi un fenomeno particolarmente preoccupante. Probabilmente non è di ‘ fenomeno preoccupante’ che si dovrebbe parlare quanto di un’ulteriore, l’ennesima, forma di violenza ai danni delle donne che viene definita violenza ostetrica. La prima definizione giuridica di violenza ostetrica è stata formulata nel 2007 in Venezuela (Ley Organica sobreelDerecho de lasMujeres a una Vida Libre, art.15) edefinisce tale fenomeno come “l’appropriazione del corpo e dei processi riproduttivi della donna da parte del personale sanitario, che si esprime in un trattamento disumano, nell’abuso di medicalizzazione e nella patologizzazione dei processi naturali, avente come conseguenza la perdita di autonomia e delle capacità di decidere liberamente del proprio corpo e della propria sessualità, impattando negativamente sulla qualità della vita della donna”.La violenza ostetrica è un fenomeno molto diffuso e dibattuto nel mondo. Inizialmente se n’è a lungo parlato in America Latina ma ha avuto risonanza sin dagli anni ’70 anche in altri Paesi, sia in via di sviluppo che ad alto reddito.Nel 2014 la World Health Organization ha posto l’attenzione sulla violenza ostetrica ricordando che “ogni donna ha il diritto al più elevato livello di salute raggiungibile, che include il diritto ad una assistenza sanitaria rispettosa e dignitosa”, sottolineando come l’esperienza di trattamenti irrispettosi e abusanti, durante il parto in ospedale, violi tale diritto.

In Italia si è iniziato a parlare di violenza ostetrica nel 1972 quando alcune associazioni femminili del ferrarese promossero una campagna molto controversa e contestata, “Basta Tacere’’. Nel corso di questa campagna, decine e decine di donne raccontarono storie personali di abusi e maltrattamenti durante il parto e la gravidanza relative, in particolare, alla freddezza e mancanza di sensibilità da parte del personale sanitario ma anche, e soprattutto, dell’incapacità di agire consapevolmente in momenti come travaglio ed espulsione, poiché assolutamente escluse dal processo decisionale. I riferimenti sin da allora, erano a pratiche traumatiche, in molti casi non necessarie, come l’episiotomia o la manovra di Kristeller. Da tale campagna nacque un opuscolo che venne stampato e distribuito in migliaia di copie. Nella primavera del 2016 questa campagna venne rilanciata, questa volta, sui social e “Basta Tacere” divenne un hashtag. Il risultato, in questo caso, sarà la nascita dell’OVOItalia, l’Osservatorio sulla Violenza Ostetrica, da cui scaturirà l’indagine nazionale Doxa ‘Le donne e il parto’. La campagna e l’indagine hanno permesso di ottenere dei dati significativi su questa forma di violenza di genere di cui si parla molto poco e, purtroppo, anche molto male.

Chiediamo informazioni più specifiche a Michela Cericco, Presidente dell’associazione La Goccia Magica (http://www.lagocciamagica.it/), che si occupa dal 2008 di promuovere, informare e supportare le neo mamme nel percorso dell’allattamento naturale. La Goccia Magica è stata inoltre un’associazione promotrice prima della campagna #BastaTacere e dopo dell’indagine Doxa.

Che cos’è la violenza ostetrica?

E’ una domanda a cui è estremamente complicato rispondere.

L’Oms ha cercato di catalogare le procedure che, qualora fossero applicate senza una valida ragione, potrebbero essere lesive per la salute delle donne e del neonato ma sono i racconti dei parti che rendono tutto più chiaro. Ad esempio, determinate procedure dolorose o, in molti casi, traumatiche, nella maggior parte dei casi, non sono necessarie, si applicano di routine. Parliamo di scollamento delle membrane, episiotomia e manovra di Kristeller, per fare solo qualche esempio. Queste pratiche costituiscono assolutamente una risorsa, ma solo in determinate circostanze,e  non sempre e, soprattutto, non devono essere per forza dolorose a differenza di come vengono descritte da alcune donne che, invece di percepire queste pratiche come un aiuto al travaglio o al parto, le vivono come forme di violenza. Spesso, capita che le donne non vengano informate della necessità di queste procedure che vengono applicate, diciamo così, a tradimento senza tener conto delle conseguenze fisiche e psicologiche successive.

Queste pratiche di cui Lei parla sono, in moltissimi casi, inutili. Perché quindi vengono applicate?Sanità e salute pubblica - Silvia Altieri - La violenza ostetrica

Il punto di partenza è che la gravidanza viene identificata dal sistema sanitario come una malattia e come tale viene trattata (oltre che vissuta in prima persona). Alla luce di questo si considera un solo principio fondamentale: la sicurezza. Partorire in sicurezza è senza dubbio importantissimo e, nel corso degli anni, è stato utilissimo per il crollo straordinario del numero delle morti madre/figlio alla nascita. Ma non si può tenere conto solo di questo. In Italia, l’85% delle gravidanze è assolutamente sicura eppure si tende a proporre alle madri una quantità infinita di esami non necessari. Il punto è che ne va, spesso, anche del buon nome dell’ospedale e nessuno degli operatori si prende la responsabilità di lasciare che la natura faccia il suo corso con il rischio che possa andare storto qualcosa. Ma questo non va bene per due motivi: il primo è che quello delle gravidanze, dato il costo degli esami, diventa un business e il secondo è che si corre il rischio di non dare alla donna in gravidanza gli strumenti giusti per partorire con serenità.

 

Da anni, unitamente all’attività di altre associazioni, proponiamo una modalità di assistenza, sia alla gravidanza che al parto, alternativa, rendendo centrale la figura dell’ostetrica, che agisce in team con ginecologo ed altri operatori, come assistenti sociali e psicologi, in grado di supportare la donna in gravidanza su più fronti, e non solo su quello sanitario, al fine di renderla consapevole delle proprie risorse e serena rispetto allo straordinario momento che sta vivendo.

La vostra attività ha creato non poche perplessità da parte degli operatori sanitari. In particolare le associazioni di categoria hanno addirittura proceduto legalmente nei confronti del movimento #BastaTacere, perché?

L’aspetto che ci è stato più contestato è stata la modalità di raccolta dei dati che secondo le associazioni nazionali di ginecologi non dà risultati attendibili in quanto la partecipazione è stata assolutamente spontanea. Abbiamo coinvolto dunque la DOXA, che ha il compito di raccogliere e sistemare i dati organicamente. Il nostro obiettivo, in ogni caso, non è quello di contestare il lavoro degli operatori sanitari. Noi sappiamo che c’è un problema e vogliamo risolverlo. Abbiamo cercato di capire in quale maniera gli operatori agiscono e sappiamo che spesso, come ha dimostrato una nutrita partecipazione al nostro movimento da parte di ginecologi e ostetriche, sono loro i primi ad avere difficoltà a muoversi in un sistema regolamentato in maniera,talvolta, non condivisibile.

Relativamente alla violenza ostetrica, come abbiamo potuto constatare, sono moltissimi gli aspetti da tenere in considerazione per fare un’analisi lucida e chiara della situazione generale. Al di là di ogni personale opinione c’è da fare però un appunto: è molto strano che questa forma di violenza, ricordiamo, di genere sia stata riconosciuta a livello internazionale da organismi di una certa rilevanza quali l’Oms e, nonostante ciò, chi oggi si prende la responsabilità e il compito di fare informazione in merito, siano realtà molto piccole come associazioni con fondi e risorse molto limitate. Perché? Avremmo avuto piacere di fare intervenire nel dibattito anche le associazioni di categoria, in particolare Aogoi, Sigu e Agui, che abbiamo cercato di contattare senza successo, per conoscere la loro posizione sull’argomento e possibilmente chiarire dubbi e perplessità, in ossequio al principio della pluralità dell’informazione. Siamo comunque e sempre disponibili ad intervistare i loro rappresentanti, che cercheremo in ogni caso di ricontattare.

Condividi:

Silvia Altieri