Lavoro minorile, in Italia sempre più in crescita

Lavoro minorile, in Italia sempre più in crescita

Numeri raccapriccianti riguardano i minori che non hanno accesso all’istruzione per ragioni che non dipendono direttamente da loro e che, automaticamente, si ritrovano a entrare nel mondo del lavoro troppo presto. Lo rivela Save the Children che, in occasione della Giornata mondiale del lavoro minorile, celebrata lo scorso 12 giugno, rende noto un problema drammatico che riguarda milioni di bambini; sono oltre dieci milioni i minori che, al termine della pandemia, non potranno tornare a scuola, aggiungendosi ai 258 milioni già destinati e, il fatto sconcertante è che, in questi numeri, è coinvolta anche l’Italia.

Indagine della Fondazione studi consulenti del lavoro: “Il lavoro minorile in Italia”

Ma qual è il motivo per cui questi bambini non torneranno a scuola? Come può una crisi mondiale poter arrestare il processo di istruzione delle nuove generazioni in un Paese avviato e consolidato come l’Italia? Da un’indagine realizzata dalla Fondazione studi Consulenti del lavoro “Il lavoro minorile in Italia: caratteristiche e impatto sui percorsi formativi e occupazionali”, che esplora questo fenomeno poco conosciuto e forse ignorato nel nostro Paese, emerge che, nonostante una curva tendenziale positiva di contrasto al fenomeno, l’Italia è maglia nera su scala europea per l’abbandono prematuro degli studi nella fascia d’età tra i 18 e i 24 anni. Nell’indagine si legge, inoltre, che nell’età compresa tra il 16 e i 64 anni 2,4 milioni persone hanno svolto un’attività lavorativa tra sotto i 16 anni, dato cui si aggiunge quello secondo cui nel 2020 erano 230 mila gli under 35 a dichiarare di aver ricevuto una retribuzione sotto i 16 anni di età. accompagna Un’assurdità se si pensa che in Italia il lavoro minorile è stato abolito nel 1967 e la Costituzione sancisce la sua applicazione nell’articolo 32 eppure, a oggi, è in progressiva crescita ma, allo stesso tempo, mascherato e nascosto.

La pandemia ha aggravato il fenomeno del lavoro minorile

La pandemia ha scongelato situazioni critiche in molti ambiti del panorama socio-culturale, apparentemente estranee al nostro Paese, ma che si sono rivelate attuali e presenti. Il lavoro minorile è uno di questi, un fenomeno assai diffuso nel sud-est asiatico, in Africa, in Sud America, nel così detto “terzo mondo”, spesso trascurando che esso possa svilupparsi in maniera importante anche in Paesi avanzati come l’Italia. Le scuole chiuse, l’incremento delle zone di povertà hanno, infatti, favorito l’ingresso del fenomeno nella nostra quotidianità, coinvolgendo i giovani sotto i 16 anni nei settori della ristorazione, settore agricolo, commercio e artigianato, afferma Anna Teselli, ora parte della Cgil nazionale, che ha condotto una ricerca insieme a Save the Children sul lavoro minorile che, per ovvie ragioni, sfocia nello sfruttamento. Esso ha origine da due fattori, la dispersione scolastica, di cui l’Italia detiene il primato Europeo, e il lavoro precoce. Teselli spiega, infatti, come questi preadolescenti facciano ingresso nel mercato del lavoro, prima aiutando parenti e amici nelle loro piccole imprese, per poi insediarsi progressivamente in queste realtà, trascurando e, lentamente, abbandonando gli studi e collocandosi automaticamente nella categoria dei lavoratori poveri. Teselli muove, appunto, una critica al Pnrr pre-Draghi, in cui la questione generazionale viene trascurata.

 

Il Presidente di FENAILP nega il fenomeno

Ma in questo panorama in cui le vittime sono minori che vengono introdotti in un sistema a causa di condizioni esterne a loro, qual è il ruolo svolto dai piccoli imprenditori, coloro che detengono il potere decisionale, e non solo, nell’andamento della propria attività? quali sono le condizioni cui sono destinati questi neo lavoratori? E perché assumono minori invece che giovani qualificati? Lo abbiamo chiesto a Sabato Pecoraro, Presidente della Federazione Nazionale Autonoma Imprenditori e Liberi professionisti (FENAILP) il quale afferma con ferma sicurezza che in Italia il lavoro minorile è tutelato da apposite leggi, spostando il problema, invece, sulla mancanza di figure professionali all’interno del comparto turistico e sulla carenza di una cultura del lavoro in questo settore. “Non c’è alcun tipo di prevaricazione o di sfruttamento da parte delle imprese della ristorazione e del settore turistico. Spesso, al contrario, si registra una assoluta mancanza di figure professionali e di lavoratori idonei a certe mansioni. E, per tale motivo, si cercano giovani che hanno voglia di cimentarsi su queste attività stagionali”.

Sempre più irregolarità nel lavoro minorile

Dunque Pecoraro afferma che il settore abbia una gestione totalmente regolare e, velatamente, riconosce che, in mancanza di figure professionali specifiche, le piccole imprese si rivolgano a giovani con voglia di imparare e ben disposti. E, tra questi, non menziona ma neppure esclude i minori. Dal rapporto annuale dell’Ispettorato nazionale del lavoro, relativo alle attività di tutela e vigilanza emerge, infatti, che lo scorso anno sono stati rilevati 127 irregolarità concernenti i minori coinvolti in attività lavorative, accertate in assoluto, nel settore della ristorazione e alloggio e attività artistiche, sportive, di divertimento e intrattenimento. Affermare, dunque, in modo assodato che il comparto turistico non si serva di forza lavoro minorile è da sprovveduti se si considerano i numeri rilevati dagli enti nazionali e riportati precedentemente. Sposto la mia attenzione sulla crisi delle figure professionali nel settore della ristorazione, come evidenziano note di sindacati, e Pecorare pare avere a cuore questo argomento così attuale.

Sabato Pecoraro, Presidente FENAILP
Sabato Pecoraro, Presidenti di FENAILP  

 

In alcune note dei sindacati si legge che c’è una crisi dei lavoratori stagionali, a causa degli stipendi bassi e delle condizioni lavorative. C’è verità in queste parole, oppure, in veste di rappresentanza degli imprenditori, discolpa la categoria imprenditoriale

In tema di crisi del lavoro stagionale ritengo che non si tratti di bassa retribuzione, bensì della precarietà del lavoro stesso, spesso soggetto al periodo limitato di occupazione ed ai cambi gestionali delle imprese che, nel settore turistico, sono più frequenti rispetto ad altre categorie d’esercizio. Gli imprenditori turistici vorrebbero garantite prestazioni di lavoro eccellenti e continuative negli anni, ma da parte dei lavoratori assunti, il più delle volte, sono gli stessi occupati che preferiscono cambiare azienda e tipologia di lavoro, cercando soluzioni più redditizie e meno precarie.

Il settore turistico, e quello della ristorazione e alberghiero in particolare, sono quelli più in crisi dopo la pandemia. Pensate che contratti di lavoro precari o assenza di contratti e stipendi bassi siano la soluzione per un risanamento della situazione economica di molte imprese del settore?

Il costo del lavoro in Italia è tra i più alti a livello europeo. E’ indubbio che una riduzione degli oneri sulle retribuzioni porterebbe ad evidenti benefici per entrambe le parti. Per i lavoratori significherebbe una maggiore soddisfazione salariale, mentre dall’altra, oggi, le aziende sono costrette a versare percentuali altissime in tema di oneri previdenziali, assicurativi e fiscali.

Quali sono le fasce d’età che prevalgono in questi tipi di lavori stagionali?

Nel settore turistico si registra una percentuale particolarmente significativa di occupati in età giovanile, (sotto i trent’anni), soprattutto nelle stagionalità del settore balneare e ristorativo. Meno in quello della ricettività e dell’intermediazione turistica. Sono giovani, spesso alla prima occupazione, che cercano di integrare il proprio reddito durante il corso degli studi o in attesa di un lavoro a tempo indeterminato. Così facendo, però, non si creano quelle condizioni per una fidelizzazione nel lavoro e la mancanza di professionalità costituisce elemento indispensabile per offrire un servizio ed un impegno di qualità e di livello.

Come pensate possa risolversi questa crisi di forza lavoro e cosa pensa possano offrire gli imprenditori, le imprese, per colmare questa situazione? E cosa essi si aspettano e si aspetterebbero dai lavoratori?

Occorre incentivare e riqualificare le scuole professionali e di specializzazione per i lavoratori del settore turismo. Bisogna creare figure manageriali, ma anche quelle più operative e tecniche, in grado di fornire prestazioni di lavoro con professionalità e conoscenze appropriate nel mondo dell’accoglienza e dell’ospitalità turistica. Sarebbe opportuno, inoltre, prevedere significativi sgravi fiscali e contributivi alle aziende che si impegnano a predisporre la formazione professionale al proprio interno, qualificando figure e mansioni di perfezionamento di lavoro. L’Italia è famosa nel mondo per il proprio comparto turistico che spazia tra mare, monti, arte, enogastronomia, prodotti tipici e tanto altro ancora, e che oggi rappresenta circa il 13% del PIL. Saranno proprio i giovani (formati a dovere dalle scuole professionali) che potranno dare un contributo decisivo per far ripartire le imprese di questo settore dopo la crisi pandemica.

Il lavoro minorile conseguenza di uno Stato assente

Dalle parole del Presidente Pecoraro, voce unificata della categoria imprenditoriale, emergono due informazioni fondamentali. Nella prima pare voglia filtrare una realtà presente in Italia, e i numeri lo dimostrano, ovvero il lavoro minorile che sfocia quasi direttamente nell’abbandono prematuro degli studi, il che abbassa il livello di istruzione concorrenziale su scala europea. La seconda nozione fondamentale è che in Italia il lavoro ha un costo alto, forse eccessivo, motivo per cui le piccole e medie imprese ricorrono all’assunzione di figure non professionali, prive di una formazione e di esperienza, vulnerabili e facilmente convincibili attraverso proposte lavorative apparentemente allettanti per loro. Entrambe le situazioni favoriscono il lavoro illecito, sia da parte delle aziende che assume con contratti precari, sia da parte dei lavoratori, che dal canto loro, preferiscono ricevere una remunerazione al netto, rinunciando agli oneri previdenziali in loro favore, provocando un abbassamento del potenziale intellettivo e culturale dei lavoratori nel nostro Paese. Come afferma lo stesso Pecoraro, è necessario che in Italia venga riconosciuta e diffusa una cultura del lavoro ristorativo e alberghiero e, più in generale, del lavoro; solo così sarà possibile aumentare il suo valore e il valore dei professionisti che ne fanno parte, in modo da conceder loro la dignità che meritano e quel processo meritocratico carente che lascia spazio all’illegalità e alle prevaricazioni.

 

 

 

 

Condividi:

Paola Sireci