Perché i giovani lavoratori sono insoddisfatti?

Perché i giovani lavoratori sono insoddisfatti?

Domande ricorrenti dei giovani lavoratori

Ci sono molteplici domande retoriche che affliggono i giovani lavoratori e che, col passare del tempo, sono diventate automaticamente delle risposte. È giusto cercare il lavoro perfetto? Quanto tempo bisogna fare la gavetta prima di ottenere un’occupazione degna della propria formazione ed esperienza? Qual è il valore di un lavoro in termini salariali e cosa lo determina? Il tipo di contratto, l’esperienza o il lavoro in sé? Chi ha la risposta a queste domande alzi la mano e, se possibile, fornisca una soluzione per abbattere una crisi che, accentuata nell’ultimo decennio, vede i giovani protagonisti e antagonisti, allo stesso tempo, di questo fenomeno.

Una generazione alla ricerca del lavoro perfetto

Già, perché i giovani lavoratori, tacciati di essere sempre inadeguati per la loro esperienza, formazione o ambizione, sono destinati a rimbalzare da un’azienda all’altra alla ricerca del lavoro adatto a loro, oppure a condizioni di lavoro non proporzionate alle loro velleità o formazione ed esperienza acquisita negli anni. Ma, in fondo, è così sbagliato cercare il lavoro perfetto e non accontentarsi di quello che il mercato del lavoro offre? Soprattutto, chi può permettersi di ambire e ricercare l’occupazione dei sogni e chi, al contrario, è indirettamente costretto ad accettare ciò che gli viene proposto?

Uno studio rivela il livello di soddisfazione dei giovani lavoratori

Questo quesito non può avere una risposta certa e universale, tuttavia è provato che ci siano condizioni lavorative da cui deriva una soddisfazione maggiore e altre in cui essa è minore. Secondo una ricerca dell’Istat (Istituto nazionale di statistica) nel 2020 è stato rilevato che il 79,0% della popolazione è appagata dalla propria posizione lavorativa, condizione più favorevole nel Nord Italia rispetto al centro sud. Tuttavia, la crescita della soddisfazione lavorativa evidenziata tra il tra il 2013 e il 2018 non è omogenea tra le varie categorie di lavoratori. Pare, infatti, che nell’ambito del lavoro dipendente essa sia più alta presso le figure dirigenziali e gli impiegati mentre, tra gli operai e i lavoratori in proprio, si registra un calo della soddisfazione lavorativa. In generale lo studio rileva che l’appagamento professionale va di pari passo con la formazione scolastica; un 50,1% di laureati contro il 36,6% di chi possiede la licenza elementare.

Quali sono i fattori che determinano il lavoro perfetto?

Ma questi elementi non bastano per determinare il grado di soddisfazione all’interno del proprio ambiente lavorativo in quanto esso riguarda molti fattori come il luogo di lavoro, orario lavorativo, rapporto interpersonale con i colleghi, retribuzione, condizione, posizione e margine di avanzamento di carriera. Questi ultimi elementi sono quelli più importanti e determinanti nel processo di gradimento e soddisfacimento della propria occupazione, considerando che, la maggior parte dei giovani laureati, ambisce a una professione inerente al proprio percorso di studi ma, soprattutto, in linea con i sacrifici in termini di formazione ed esperienza.

Sempre maggiori le aziende incapaci di riconoscere il valore delle professioni

Tuttavia, una volta entrati nel mondo del lavoro, essi vengono sballottati da un’azienda all’altra ripartendo sempre da zero, ovvero sempre da contratti di apprendistato, a tempo determinato e con stipendi che fanno gola solo ai datori di lavoro, in quanto minimi sono gli sgravi fiscali a loro favore. Ma il motivo per cui in Italia è ancora presente la cultura del minor sforzo – degli imprenditori- e massimo risultato – dei lavoratori – è perché sta aumentando l’incapacità delle aziende di riconoscere il valore delle competenze e questo fa sì che i giovani lavoratori siano destinati allo sfruttamento e condizioni di lavoro precarie da cui conseguono retribuzioni basse. Il risultato? Professionisti trattati come novelli che, nella speranza di essere riconosciuti come professionisti, passano da un’azienda all’altra, interfacciandosi con manager e imprenditori incapaci di riconoscerne il loro valore.

Manager responsabili del blocco della crescita professionale

Questa situazione effetto domino, tuttavia, ha origini più radicate in una dinamica di concorrenza secondo la quale i manager, cui funzione è di controllo e coordinamento, vedendo la crescita professionale dei loro subordinati, si sentono minacciati e frenano tale crescita, favorendo una politica conservativa.

Lo studio rivelatore dell’improduttività

Uno studio condotto da Adp “Workforce View in Europe 2019”, survey ha preso in considerazione oltre dieci mila dipendenti in Europa, di cui 1.400 solo in Italia, rilevando che una delle cause principali di improduttività per i lavoratori italiani è l’incompetenza dei loro manager, ovvero delle persone che guidano i gruppi di lavoro e che sono a contatto tutti i giorni con le figure da loro coordinate. Questo accade perché spesso essi sono messi al comando di un’équipe di lavoro senza una formazione adeguata in senso di leadership e carisma volto alla crescita del gruppo di lavoro e quindi dei dipendenti che ne fanno parte.  Se da una parte, quindi, a livello operativo si tratta di figure manageriali competenti dall’altro mancano delle competenze necessarie per coordinare gli individui affidati alla loro gestione, sviluppando un’incapacità nel riconoscimento del lavoro del singolo. Il risultato? Lavoratori poco stimolati bloccati nell’ascesa professionale, insoddisfatti e sempre alla ricerca dell’occupazione perfetta ma, principalmente, destinati a condizioni di lavoro precarie e che sminuiscono la loro considerazione.

Formazione e informazione rimedio contro la svalutazione delle professioni

Come si può combattere questo fenomeno? Con maggiori investimenti nella formazione professionale e con maggiori tutele per i lavoratori, prima fra tutte con il consolidamento di un minimo salariale che possa dare un valore al lavoro svolto non in base alla tipologia contrattuale, ma attraverso un valore concreto che creerebbe sicuramente meno frustrazione. In secondo luogo, fornendo alle aziende gli strumenti necessari per permettersi di accogliere in azienda figure professionali di un certo livello. Solo con l’informazione e la formazione è possibile abbattere quell’ignoranza che oggi fagocita e blocca i giovani lavoratori, arrestando la crescita che può permetterci di trasformarci un Paese all’avanguardia da più punti di vista, primo fra tutti, dal punto di vista lavorativo e formativo.

 

 

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Paola Sireci