Riforma della giustizia, intervista a Giovanni Russo Spena

Riforma della giustizia, intervista a Giovanni Russo Spena

Proseguendo l’itinerario di approfondimento intrapreso da Proposte UILS sulla riforma della giustizia penale parliamo con il Prof. Giovanni Russo Spena, già Deputato e Senatore della Repubblica, costituzionalista, docente universitario, giurista ed attuale Responsabile dell’area Democrazia, diritti istituzioni presso il Partito della Rifondazione Comunista, per conoscere la sua opinione su alcuni temi.

 

M.G.: Egregio Prof. Giovanni Russo Spena, intanto la ringrazio per la sua disponibilità e le faccio i complimenti per la sua vita dedicata all’impegno politico.
La riforma della giustizia penale trova la propria ragion d’essere nella strumentalità al raggiungimento degli obiettivi del P.N.R.R. Come dobbiamo interpretare questo legame tra diritto penale e politiche economiche?
G.R.S.: Il fatto che l’erogazione dei fondi del Recovery Plan sia condizionata alla riforma della giustizia rappresenta un’occasione importante da non perdere se consideriamo che la giustizia italiana è al collasso. Questo è il punto decisivo facendo un confronto dei parametri dei costi della giustizia, la carenza di organici e la sua lentezza con quelli degli altri paesi europei. Infine, il collasso della giustizia dipende anche da un rapporto fra politica e giustizia a volte demagogico, giustizialista, fintamente garantista e spesso la giustizia è stata utilizzata in maniera strumentale dalla politica per interessi elettorali oppure di potere.

M.G.: Molte novelle della riforma hanno fatto emergere la prospettiva di una modificazione del significato dell’obbligatorietà dell’azione penale, secondo una concezione che è già stata definita di “obbligatorietà temperata e realistica dell’azione penale”. Si può ravvisare un contrasto di alcune norme con il dettato dell’art. 112 Cost.? Quanto è concreto il rischio di incidere negativamente sulle prerogative del potere giudiziario?
G.R.S.: Da vecchio docente e costituzionalista, ritengo che gli aggettivi “temperata e realistica” siano un po’ anomali se riferiti all’obbligatorietà dell’azione penale, tenuto conto degli assetti costituzionali. Perciò tengo a riaffermare la centralità del principio dell’obbligatorietà dell’azione penale. In riferimento a questo, vi sono degli accenni preoccupanti nella Riforma quando si parla di scelta delle priorità da parte del Parlamento peraltro in una fase in cui i poteri parlamentari sono molto affievoliti, il che si tradurrebbe di fatto in una scelta del Governo. Non possiamo permetterci di entrare in una logica in cui è più importante perseguire il ladro di appartamenti o peggio ancora una minoranza, lasciando invece correre per altri reati altrettanto gravi come quelli che riguardano i rapporti di produzione, i morti sul lavoro, l’inquinamento, i “colletti bianchi”.
Condivido l’impostazione del nuovo art. 408 c.p.p. che prevede la possibilità di chiedere l’archiviazione quando, sulla base degli elementi acquisiti nel corso delle indagini, non sia possibile formulare una ragionevole previsione di condanna, perché è funzionale alla deflazione processuale e penale. Ciò va nella auspicabile direzione di una riduzione del numero dei reati e della decarcerizzazione. Anche la nuova norma sull’improcedibilità dell’azione penale per superamento dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione – articolo 334 bis c.p.p.-, mi trova d’accordo perché riguarda uno degli aspetti deflattivi citati.
In sostanza a me pare che non vi sia contrasto delle norme citate con l’articolo 112 della Costituzione e non credo nemmeno che esse possano incidere negativamente sulle prerogative del potere giudiziario.

M.G.: Il nuovo 335 ter c.p.p. ampliando le funzioni inquirenti del G.I.P. va ad incidere sulla separazione delle funzioni proprie del P.M. e del giudice recando una marcata impronta inquisitoria. Stiamo assistendo ad un passaggio di questo tipo?
G.R.S.: Non si può negare che vi siano dei casi che potremmo definire di “conflitto di interessi” in senso atecnico. La separazione delle funzioni deve essere regolamentata in maniera forte, però dobbiamo comprendere quali sono gli interessi in gioco. Resto fermamente contrario alla separazione delle carriere del P.M. e del Giudice, perché si corre il rischio che il P.M. diventi il “braccio esecutivo” del Governo. Sono favorevole alla separazione regolamentata e netta delle funzioni e dobbiamo riconoscere che dopo molti interventi oggi i casi di “porte girevoli” in riferimento alle funzioni di P.M. e di Giudice sono assai limitati.

In un’ottica di deflazione processuale e penitenziaria è stato esteso il regime di procedibilità a querela per alcuni delitti contro la persona e contro il patrimonio.
Non si corre il rischio che questa scelta possa essere interpretata come una rottura del patto sociale o un “gettare la spugna”?
G.R.S.: Sono d’accordo con questa norma e con il limite di pena che è stato posto di due anni. Questa novità si inquadra in una fase di sperimentazione giuridica e credo che occorrerà aspettare gli orientamenti della giurisprudenza nei prossimi anni prima di esprimere una valutazione. Dobbiamo convenire che il principio è giusto, e un ampliamento di questo tipo è stato già applicato in tutti gli Stati di diritto europei. In Italia, invece, ha prevalso la consuetudine legislativa e giudiziaria di aumentare il numero dei reati e risolvere i problemi di allarme sociale attraverso un incremento della durata delle pene. Tenuto conto che nel nostro Paese il numero dei reati è anche triplo rispetto a quello di altre nazioni, sono portato a pensare che si sarebbe anche potuto fare di più, ad esempio con un’azione più incisiva sulle pene accessorie e sulle pene alternative. Per questo la riforma resta comunque “centrista”, mediocre e carente di coraggio.

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Redazione Proposte UILS