“Cementificare” tra necessità e virtù

“Cementificare” tra necessità e virtù

L’evoluzione dell’industria edilizia, per l’adeguamento ai contemporanei standard di sostenibilità, e le innovazioni che rinobilitano il calcestruzzo


I temi ambientalisti più discussi del momento, quali l’inquinamento e il consumo di suolo, sono intimamente collegati all’attività edificatoria che, più di ogni altra tra quelle umane, ha ricadute sull’ambiente. La popolazione mondiale, infatti, cresce e con essa sale il bisogno di costruire. Nei Paesi in via di sviluppo, come in quelli che adesso stanno vivendo il boom della propria economia (la Cina è uno di questi, per intendersi), impenna la richiesta di edifici e infrastrutture: semplicemente, più abitanti vuol dire più case e più servizi.

Le frontiere aperte dal nuovo “green way of living” impongono al settore edile scelte più sostenibili rispetto al passato, ma il materiale principe delle costruzioni, in questo quadro, sembrerebbe avere una difficile collocazione. Caro ai romani che, per primi, ne scoprirono il potenziale strutturale e spaziale, il cemento è oggi additato come una delle principali cause di emissioni di CO2 nell’atmosfera. Va detto che ciò che si intende comunemente per “cemento”, nella pratica attuale, è ben diverso dall’impasto conosciuto dai fondatori della città eterna; l’odierno calcestruzzo (abbreviato in cls) è, infatti, il frutto di un processo produttivo molto più complesso ed energivoro di quello del famoso antenato.

Tale dato fa sì che l’industria edilizia, totalmente vincolata all’impiego di questo materiale, sia responsabile di circa il 36% del consumo di energia globale e del 40% delle emissioni totali di anidride carbonica – è quanto si legge nell’ultimo rapporto della GlobalABC (Global Alliance for Buildings, partnership volontaria di governi nazionali e locali, organizzazioni intergovernative, imprese, associazioni, reti e think thanks impegnati nella causa ambientalista).

Secondo delle stime riportate recentemente dall’Economist (in occasione della COP26), se il ciclo di lavorazione del cemento fosse un Paese, sarebbe il terzo più inquinante, dopo Cina e America. L’edificazione è quindi uno dei processi più dannosi per l’ambiente; di contro, ciò significa che intervenire in questo campo, potrebbe rappresentare davvero una svolta nella lotta a favore dell’eco-compatibilità.

Una proposta facile sarebbe quella di abbandonare il cls e convertire l’intero settore delle costruzioni a soluzioni più verdi: il legno (perlopiù quello lamellare, con maggiori caratteristiche di resistenza rispetto a quello comunemente detto “massello”) potrebbe essere, ad esempio, un’opzione non trascurabile, considerando che gli alberi costituiscono una fonte rinnovabile di materia prima. Ciononostante, le qualità strutturali intrinseche del composto di malta, acqua e inerti, non rende plausibile una sua rapida sostituzione.

Qui entrano in gioco la ricerca scientifica e le nuove tecnologie. Grazie agli investimenti delle aziende più all’avanguardia nel campo dell’edilizia, si stanno già mettendo in pratica alcune brillanti soluzioni per diminuire l’impatto ambientale del calcestruzzo – sia dal lato della produzione che dello stato in opera – con l’obiettivo di “riabilitare” il buon nome di questo materiale anche nelle alte sfere della sostenibilità.

Molte imprese – tra cui la canadese CarbonCure, l’australiana Calix e la tedesca Heidelberg Cement – si stanno concentrando sulla cattura e sullo stoccaggio della CO2, prima che questa possa entrare nell’atmosfera, per poi riutilizzarla nella produzione di carburante sintetico. Un altro approccio è quello di rinnovare la “ricetta” del calcestruzzo, per migliorare il rapporto tra quantità e prestazioni: fibre sintetiche e naturali, grafene o altri additivi che ne aumentino la resistenza, la lavorabilità e la durabilità, diminuendo contemporaneamente consumi, sprechi e manutenzione. È il caso dell’azienda statunitense Solida che, modificando l’impasto, ha collaudato un sistema di produzione con temperature molto più basse rispetto a quelle consuete, utilizzando dunque meno combustile fossile e rilasciando meno anidride carbonica.

E sugli “ingredienti” lavora da diverso tempo anche il mondo dell’architettura che sta adottando, con sempre maggior frequenza, le cosiddette soluzioni “mangia smog”. Un esempio piuttosto celebre è quello del rivestimento del Padiglione Italia per l’Expo di Milano 2015: un cemento fotocatalitico –con capacità di trattenere le polveri sottili presenti nell’aria, decomponendole in sostanze non nocive n.d.r. ­– che garantisce una performance di auto-pulizia e di disinquinamento (si stima che l’abbattimento della tossicità dell’aria si aggiri intorno al 30percento).

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Condividi:

Teresa Giannini